La battaglia di Pavia del 1525 e il predominio sull’Italia

Gli italiani schierati su ambedue i fronti

Nei pressi di Pavia si fronteggiavano circa 45.000 fanti e 5.500 cavalieri pesanti e leggeri, spagnoli, tedeschi, francesi, italiani, svizzeri, con una settantina di pezzi di artiglieria, mentre la città era presidiata da una guarnigione imperiale di seimila uomini.

Le armi da fuoco cancellano il mito dell’imbattibilità della cavalleria

La battaglia di Pavia segnò uno spartiacque nel modo stesso di concepire e condurre la guerra, con la decadenza anche del mito della cavalleria pesante e la creazione dell’altro mito della fanteria come regina delle armi, e la crescita di importanza dell’artiglieria. Furono gli archibugieri e i picchieri a fare strame della nobiltà francese a cavallo. Stando alle fonti i caduti nelle fila francesi, tra morti e feriti, furono almeno 12.000, a fronte di circa 500 perdite tra gli imperiali, e questo grazie a un razionale utilizzo dei reparti specializzati nell’uso delle armi da fuoco. L’anno prima Francesco I si era ripreso Milano e le truppe imperiali si erano fortificate a Lodi.

La mossa decisiva del marchese di Pescara Ferrante d’Avalos e la fine di La Palice

Questo errore viene colto dal Pescara, abile ad accorgersi pure che la fin allora temutissima cavalleria pesante francese aveva perso il contatto con le truppe a piedi che la proteggevano. Invia quindi in una zona boscosa, che li proteggeva da una carica altrimenti non fronteggiabile, una forza di circa 1.500 archibugieri che martellano il fianco dei francesi falcidiandolo. D’Avalos dà poi l’ordine alla cavalleria leggera imperiale e alla fanteria di lanciarsi sugli appiedati e i feriti. Non c’è scampo per i francesi, uccisi col sistematico uso di armi bianche sulle parti scoperte delle armature e di quelle da fuoco a distanza ravvicinata. Questa fase decapita l’esercito di Francesco I dei principali comandanti e l’intera nobiltà francese dei suoi più importanti esponenti.

«Tutto è perduto fuorché l’onore»

Gli imperiali erano in leggera inferiorità numerica e in notevole inferiorità nelle artiglierie, ma l’innovazione nella condotta della battaglia aveva annullato il vantaggio nemico. Lo stesso re di Francia, che era comandante in capo anche sul campo, viene preso prigioniero, ma trattato con tutti i riguardi del suo rango. A una sua lettera alla madre Luisa di Savoia si deve la sintesi della sconfitta, anch’essa entrata nella storia: «Tutto è perduto, fuorché l’onore che è salvo».

La morte del condottiero e la figura della moglie Vittoria Colonna

Ferrante d’Avalos, napoletano di nascita ma spagnolo nell’animo, sopravviverà pochi mesi al successo che ne aveva fatto uno dei più grandi condottieri del ‘500, poiché morirà a Milano il 5 dicembre del 1525. La moglie era la poetessa Vittoria Colonna. La marchesa di Pescara fu una delle donne più colte e affascinanti del Rinascimento, in rapporti artistici e letterari con Michelangelo Buonarroti (innamorato platonicamente di lei), Annibal Caro, Pietro Aretino, Ludovico Ariosto. Quest’ultimo la citò con ammirazione nell’ “Orlando furioso” come esempio di virtù coniugali.

Fonte : Agi