Tornare indietro nel tempo per raccontare l’America di oggi, in un parallelismo tanto importante quanto inquietante. In un Paese profondamente diviso, dove gli echi del film di Alex Garland (qua la nostra recensione di Civil War) non hanno, facendo gli scongiuri, ancora visto la luce, un film come The Order si fa specchio di inquietudini e tumulti, raccontando una storia vera risalente ai primi anni Ottanta, dove l’estremismo politico ha seminato una scia di sangue che sconvolse profondamente il Paese.
Echi di Capitol Hill in un film che guarda al passato, mettendo al centro della vicenda lo stoico agente dell’FBI Terry Husk, reduce da un matrimonio fallito e alle prese con i propri demoni personali, nonché con dei seri problemi di salute. Un uomo che nonostante il destino cerchi di spezzarlo continua imperterrito nella sua missione di giustizia, anche quando viene assegnato in una piccola comunità dell’Idaho, dove il crimine più comune è quello di pescare trote senza licenze. Un incarico apparentemente di routine, dopo alcuni casi spinosi che lo hanno visto indagare su Cosa Nostra e il Ku Klux Klan, che si complicherà poco dopo il suo arrivo.
The Order: i segni del male
In The Order infatti il Nostro si ritroverà a collegare alcuni crimini apparentemente scollegati tra loro, uniti invece da un filo comune che lo condurrà a una radicata organizzazione di estrema destra, guidata dal carismatico Robert Jay Mathews, il quale intende tramite la violenza scatenare il caos per le strade, portando alla nascita di un nuovo ordine sociale e politico. Con l’aiuto del giovane ufficiale di polizia Jamie Bowen e della collega federale Joanne Carney, Husk cercherà di sgominare la banda prima che sia troppo tardi.
Questo in due ore di visione che stilisticamente ripescano a piene mani dai thriller anni Settanta, con il cinema di Peckinpah e di Fuller che riemerge in più occasioni: un cinema diretto e senza fronzoli, che non va per il sottile e non si perde in tempi morti o retorici di sorta, con un ritmo a tutta azione che che va dritto al sodo, senza abbellimenti di sorta.
Una violenza cinica e crudele, che non trova spazio in superflui slanci emotivi ma si limita ad accompagnare un racconto di ombre e ancora ombre, che si muovono a cavallo di mesi e anni in quella che è una resa dei conti, a distanza e non, tra i due principali antagonisti, a loro modo guidati dai rispettivi codici d’onore in un gioco del gatto e del topo, con i ruoli pronti a ribaltarsi a seconda dell’occasione.
Un senso di attesa che cita Il cacciatore (1978) e l’iconica scena del cervo, in quest’atmosfera di un’America rurale e cittadina al contempo, con i cambi di ambientazione che sottolineano comunque un malessere profondo, in un Paese dove le armi si vendono come caramelle, ora come allora.
Nel cuore dell’abisso
Alla base come detto vi è la vera storia dell’organizzazione terroristica neo-nazista The Order, a sua volta raccontata nel saggio del 1989 The Silent Brotherhood di Kevin Flynn e Gary Gerhardt. Il regista australiano Justin Kurzel, che dopo il passo falso videoludico (recuperate qua la nostra recensione di Assassin’s Creed) si è subito ripreso con due ottimi film quali The Kelly Gang (2019) e Nitram (2021), scava con la giusta profondità – complice la tagliente sceneggiatura – nel cuore e nell’anima dei personaggi, che vivono di vita propria anche in quel disilluso nichilismo, pronti sempre a lottare per il loro ideale, per quanto malato e crudele questo possa rivelarsi.
E non poteva trovare migliore collaborazione da parte di Jude Law e Nicholas Hoult, alle prese con due figure affascinanti, antitetiche e complementari. Il primo, baffoni d’ordinanza, è un uomo che ormai non ha più niente da perdere, pronto a tutto pur di fermare quell’orrenda scia di crimini; il secondo è leader carismatico e credibile, in un ruolo da cattivo che fa ben sperare in vista del suo Lex Luthor nell’attesissimo Superman di James Gunn.
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Fonte : Everyeye