Sullo scontro con Zelensky il “Global Times” parla di ingerenza negli affari interni e sluzioni affrettate che “rischiano di far crescere le tensioni, complicando ulteriormente le dinamiche geopolitiche”. La Cina non vuole essere lasciata ai margini della questione. E tra gli analisti c’è chi parla addirittura di un effetto “Nixon al contrario” per scardinare l’asse costruito da Xi Jinping con Putin.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – “La posizione della Cina sulla crisi ucraina è chiara e coerente”. La risposta del portavoce Guo Jiakun alla domanda su che cosa pensi Pechino dello scontro tra Trump e Zelensky – dopo le aperture di Washington a Mosca nel vertice di Riyadh – è stata secca e formulata secondo i canoni consueti della “liturgia” delle conferenze stampa quotidiane del ministero degli Esteri cinese. Ma non è l’unico segnale dello scarso entusiasmo di Pechino per la piega che sta prendendo l’iniziativa diplomatica della Casa Bianca con Mosca. E ad addolcire la pillola non è bastato l’ottimismo che Trump – secondo il New York Times – avrebbe fatto filtrare sulla “possibilità” di un accordo con la Cina non limitato alle questioni commerciali, ma esteso anche agli investimenti.
Se appena due giorni fa il ministro degli Esteri Wang Yi, intervenendo al Consiglio di sicurezza dell’Onu, era sembrato possibilista sul vertice in Arabia Saudita – dichiarando che “la Cina sostiene tutti gli sforzi che favoriscono i colloqui di pace” – ora a prevalere a Pechino sembra il timore di essere lasciati ai margini e veder intaccato il vantaggio strategico acquisito con il rafforzamento delle relazioni con Mosca, soprattutto in questi tre anni di “isolamento” della Russia da parte dell’Occidente.
Molto significative sugli umori rispetto alla partita ucraina sono alcune dichiarazioni pubblicate oggi dal Global Times, il quotidiano di lingua inglese legato al Giornale del popolo, l’organo del Partito comunista cinese. A commentare gli ultimi sviluppi è Li Haidong, professore dell’Università degli Affari Esteri della Cina, che ricorda come Pechino abbia “già pubblicato un documento in cui dichiara la propria posizione sulla soluzione politica della crisi ucraina nel 2023 e che è sempre stata una convinta promotrice dei colloqui di pace e della soluzione politica della crisi ucraina”.
Quanto poi ai commenti di Trump su Zelensky e le elezioni ucraine, il prof. Li strizza l’occhio a Kiev ritenendo che “rappresentino un tipico caso di intervento degli Stati Uniti negli affari interni di altri Paesi”. “L’Ucraina – continua – è stata usata come pedina dagli Stati Uniti durante la crisi, con la differenza che l’amministrazione Biden ha usato Kiev per esautorare Mosca, mentre l’amministrazione Trump cerca di sacrificare l’Ucraina per estrarre gli Stati Uniti dal pantano”. Ma questa gestione “appare affrettata e rischia di far crescere le tensioni, complicando ulteriormente le dinamiche geopolitiche che circondano la crisi ucraina, rendendola più complessa, volatile e sempre più difficile da risolvere”.
Tra gli analisti, intanto, c’è chi arriva addirittura a parlare di una sindrome di “Nixon al contrario”, evocando il precedente degli anni Settanta che con l’apertura al dialogo con Pechino spostò in favore di Washington l’ago della bilancia della guerra fredda con Mosca. “Si trattasse anche solo del 30% di un ‘Nixon al contrario’ – commentava in queste ore alla Cnn Yun Sun, direttrice dello Stimson Center, un think thank di Washington – basterebbe a seminare il dubbio che l’allineamento strategico con la Russia su cui Xi Jinping ha tanto investito forse non è così solido”.
Di certo Pechino non è disposta a rinunciare ad avere un posto al tavolo sul futuro dell’Ucraina. E in questo potrebbe anche profilarsi una convergenza di interessi con l’Europa, l’altra grande esclusa dai dialoghi tra Washington e Mosca in Arabia Saudita.
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Fonte : Asia