Oded Lifshitz e il kibbuz Nir Oz: il sogno di pace spezzato da Hamas

Sono tornati in Israele i corpi di quattro ostaggi, fra i quali le due vittime più piccole (i fratelli Bibas) e il giornalista e pacifista di lungo corso. Il figlio sottolinea che il lavoro “non è ancora finito” ed è fondamentale ottenere la liberazione di tutti i rapiti. Il giardino della loro casa curato da volontari perché resti simbolo di speranza e dialogo.

Gerusalemme (AsiaNews) – Il governo israeliano ha fatto la scelta “giusta” implementando l’accordo sugli ostaggi con Hamas, ma “il lavoro non è ancora finito”. A dirlo è Yizhar Lifshitz, figlio di Oded, veterano e attivista per la pace, uno dei quattro prigionieri deceduti il cui cadavere viene oggi consegnato dal gruppo estremista che controlla la Striscia alle autorità dello Stato ebraico. Uno scambio doloroso rispetto alle ultime liberazioni di prigionieri, ancora in vita seppure molti di questi in condizioni di salute precarie e provati dal prolungato sequestro. Niente visi emaciati o sorrisi segnati dal dolore, ma quattro bare due delle quali contenenti i fratelli Kfir e Ariel, di nove mesi e quattro anni al momento del rapimento, le due più giovani vittime del 7 ottobre. 

In una intervista a 103FM a poche ore dalla consegna dei corpi dei quattro ostaggi morti – secondo Hamas uccisi dai raid dei caccia israeliani – Yizhar traccia un ricordo del genitore, sottolineando la lunga militanza a favore della pace e del dialogo israelo-palestinese. Un cammino, avverte, che non si può certo dire che si sia concluso e che, di contro, oggi pare essersi bruscamente interrotto. 

L’84enne giornalista e attivista Oded era fra i fondatori del Kibbutz Nir Oz – la sua casa sorgeva poco distante il reticolato che separa dalla terra di nessuno, poi il confine con Gaza – dove tornerà per essere sepolto dopo 503 giorni di incertezze e speranze alternate a paure. L’uomo era stato rapito durante l’attacco del 7 ottobre assieme alla moglie 76enne Yocheved: nelle fasi concitate dell’assalto, cinque miliziani di Hamas hanno fatto irruzione nella camera blindata dove la coppia si rifugiava; Oded è stato colpito alla mano e ha perso conoscenza, mentre la moglie è stata trascinata a forza fuori dal letto. In seguito si è scoperto che era detenuto inizialmente in un appartamento a Khan Yunis, ma dopo 20 giorni di prigionia si sono perse le tracce mentre le condizioni di salute andavano peggiorando. 

Yocheved è stata liberata circa due settimane dopo il sequestro insieme a Nurit Cooper, il cui marito Amiram Cooper è stato ucciso durante la prigionia di Hamas. Oltre a essere ricordato per il suo lavoro di cronista, Oded era figura di spicco nel movimento dei kibbutz e un attivista per la pace, facendo anche del volontariato per l’ong “Road to Recovery”, che trasporta i bambini palestinesi malati negli ospedali in Israele per cure specialistiche. Nella loro casa a Nir Oz, Oded e Yocheved coltivavano un giardino di cactus, abbandonato dopo il rapimento e che un gruppo di volontari ha deciso di far rivivere prendendosene cura e facendolo diventare un segno di solidarietà, oltre che simbolo di speranza per un suo ritorno.

Ad oggi vi sono ancora 69 ostaggi nella Striscia, fra i quali anche tre uomini sequestrati da quasi un decennio e uno ritenuto morto. La polizia ha pubblicato un video del convoglio, diretto a Tel Aviv, con a bordo le bare degli ostaggi morti nelle mani di Hamas e che saranno sottoposti a procedure ufficiali di identificazione. Intanto il Forum dei familiari degli ostaggi ha indetto un raduno nella piazza centrale della capitale economica e commerciale per la serata di oggi, per ricordare persone “prese vive e ritornate morte”. Decine di israeliani si sono radunati nel sud, lungo il percorso previsto del convoglio, con persone intente a sventolare bandiere gialle in segno di solidarietà con i rapiti.

“Mio padre – racconta – è diventato un personaggio pubblico, a giudicare dal numero di persone che hanno pregato per lui, gli hanno fatto gli auguri e hanno parlato di lui nei media e nella nostra vita privata”. “Si è detto di tutto su di lui. Aveva una visione – aggiunge – di come doveva funzionare il Medio Oriente” a partire dal sostegno degli accordi di Oslo, perché credeva fossero “l’unico modo per evitare una grande guerra. Ha previsto il futuro in molti modi. Ancora oggi, quando discutiamo di soluzioni, è scoraggiante – prosegue – rendersi conto che abbiamo attraversato l’intero ciclo senza riuscire a risolvere la questione. L’abbiamo lasciata ribollire e guardate dove siamo ora”.

La loro vicenda ricorda quella di un’altra figura di primo piano del pacifismo, l’attivista israelo-canadese Vivian Silver, vittima dell’attacco che ha innescato la guerra di Israele a Gaza con il suo carico di morte e ulteriore violenza. A raccoglierne l’eredità, nel tentativo di superare la follia della guerra e la logica primordiale della vendetta, è stato il figlio Yonatan Zeige che, fra le altre attività, ha promosso un premio ispirato alla decennale opera della madre. Si tratta del “Vivian Silver Impact Award”, che viene assegnato ogni anno a una donna araba e ad una ebrea che si battono a favore della pace e della convivenza. Nelle scorse settimane, interpellato da AsiaNews, lo stesso Yonatan ha sottolineato l’importanza della tregua, pur aggiungendo che è necessaria “una nuova leadership” in una prospettiva di vera pace e di convivenza. 

Mio padre era “solo, picchiato e terrorizzato” e ferito da un colpo di pistola alle mani, ricorda Yizhar Lifshitz. Dopo oltre 500 giorni di prigionia “sarà portato in processione con la famiglia Bibas” e la comunità potrà tributargli “il rispetto che merita. Tornerà al Kibbutz Nir Oz. La famiglia Lifshitz troverà una chiusura a livello personale, ma la cerchia più ampia di Nir Oz rimane aperta” perché se “la famiglia Bibas [la madre Shiri e i due figli] e mio padre sono casi tragici, molti altri – conclude – sono tornati dalla sofferenza e ora sono con le loro famiglie”. La speranza, come avrebbe desiderato lo stesso Oded con la sua lunga militanza per la pace e il dialogo, è che tutti gli ostaggi possano tornare a casa e aprire nuove vie di confronto che possano sanare una ferita profonda, che continua a sanguinare ma andrà in qualche modo rimarginata.

Fonte : Asia