Angelica De Vito e la diplomazia del clima: “Entro il 2030 i migranti climatici saranno 19 milioni”

Che cosa ha fatto l’Australia?

“Ha deciso di accogliere gli abitanti di Tuvalu, arcipelago nell’Oceano Pacifico minacciato dall’aumento del livello del mare. Entro dieci anni queste isole saranno sommerse. L’Australia ha programmato l’ingresso, ogni anno, di 286 abitanti delle Tuvalu”.

Parliamo di numeri, quali sono le stime del fenomeno?

“Il primo report di Unhcr è di due anni fa. Entro il 2030, 19 milioni di persone potrebbero spostarsi per motivi climatici. Secondo il Climate model risk, il trend potrebbe arrivare fino a 260 milioni”.

Qual è il fenomeno climatico con il maggior impatto sulle migrazioni?

La siccità. L’acqua è chiamata l’oro blu. Le persone più povere soffrono per prime la mancanza di acqua. In Sudan nel 2021 c’è stata la prima vera grande guerra climatica. Si combatte per un pozzo d’acqua. Le persone trascorrono nove mesi l’anno nel deserto seguendo un percorso tramandato di generazione in generazione. Se però lungo la via non trovano né acqua né cibo, sono costrette a invadere il percorso di qualcun altro. E diventa una guerra nazionale. Legato al Sudan c’è anche il lago Ciad, che bagna e dà l’acqua a quattro stati: si è prosciugato e ridotto a un quindicesimo rispetto a 100 anni fa”.

Esistono delle tecnologie che possono aiutarci a gestire le conseguenze della crisi climatica?

“Sì, ci sono. E possono essere anche implementate. Gli israeliani ci hanno insegnato come vivere in una terra arida. La soluzione si chiama Sharing Technologies, ma spesso la condivisione delle tecnologie è ostacolata dalla protezione del know-how e dai costi ingenti. Il problema è che cambiare le proprie politiche interne per ospitare migranti climatici avrà costi ben maggiori”.

Come immagina il futuro?

“Ci saranno sempre più persone pronte a trattare il tema delle migrazioni climatiche. Nelle ultime Conferenze promosse dalle Nazioni Uniti sui cambiamenti climatici (Cop), il tema era in agenda. Ma ci deve essere una classe politica pronta ad ascoltare. Se gli Stati Uniti si ritirano dall’accordo di Parigi e non rispettano l’obiettivo di restare entro 1.5 gradi di riscaldamento globale, sarà difficile ottenere un nuovo status per i migranti climatici”.

Cosa possiamo fare tutti noi?

Dobbiamo trovare soluzioni accessibili ai paesi più poveri. Dobbiamo cooperare. E comprendere che il problema del Sudan non è isolato e non riguarda un mondo così lontano da noi. Anche in Italia vediamo segnali: in Sicilia molte persone stanno pensando di andarsene per la crisi idrica”.

Fonte : Wired