Cibo sostenibile, l’Unione europea sta ancora decidendo cosa significa

Secondo Dameno, proprio quelle lanciate da aziende o GDO sono le certificazioni che ultimamente conquistano la fiducia di sempre più persone. Riempiono il vuoto lasciato dalle istituzioni e riscuotono sempre maggior successo, complici i tanti packaging tappezzati con promesse di salvare il pianeta e la salute dei suoi abitanti.

Biologico, meglio di nulla

È rischioso che il consumatore consideri più affidabili i marchi privati e si convinca che i prodotti di un certo supermercato siamo tutti controllati a priori” concordano Dameno e Lunghi. Sconsigliano di farlo, e forniscono qualche indicazione alternativa per orientarsi tra scaffali fisici e virtuali di “cibi sostenibili”.

Stando alle certificazioni, dal punto di vista ambientale si può prendere come riferimento quella di prodotto biologico,perché riprende criteri che si avvicinano alla definizione di sostenibilità ambientale che potremmo avere dall’Europa” spiega Lunghi. Un “bollino” credibile c’è, quindi, ma questo non toglie che le etichette vadano lette. Dameno insiste su questo punto, “perché lì non può essere affermato il falso, l’Europa controlla. È però importante farsi delle domande su ciò che vi si trova indicato, andare oltre”. Per esempio, chiedendosi, se giá esiste una linea con certificazione biologica, perché affiancarne un’altra che ammicca alla sostenibilità? Oppure in che senso un prodotto a chilometro zero è sostenibile: “a volte, molto semplicemente, ha solo viaggiato meno di altri per arrivare nei nostri piatti” afferma.

Un altro criterio che può aiutare a identificare un cibo sostenibile, è la lunghezza dell’etichetta. “Quando è breve, ci sono meno ingredienti e, solitamente, se ne può controllare e certificare” spiega Lunghi, mostrando una tisana alla menta, con una immaginabile serie di ingredienti, una sfidante anche per i più pazienti. “Figuriamoci cosa può accadere per prodotti lavorati,  fossero anche biscotti o altri dolcetti”.

Boicottare chi boicotta l’ambiente

Seppur apprezzabile, questo tentativo di vademecum a quattro mani non è per nulla sufficiente per chi cerca di sedersi a tavola con la sostenibilità. Ci sono molte sfide ancora da vincere e non ci si può limitare ad attendere fuori dalla porta, mentre l’Unione europea continua a girare attorno al concetto di sostenibilità.

Essendo diventata sempre più importante a livello sociale, oggi sono molti i gruppi che riescono a fare pressione. I movimenti dei consumatori possono sfruttare un prezioso strumento di potere che è il boicottaggio afferma Lunghi – è una delle ultime forme di insorgenza sociale ancora efficace. La vicenda dell’olio di palma in Italia lo ha chiaramente mostrato”. Siamo tutti “consumattori”, quindi, e chi vive di fianco alle alle coltivazioni, ha ancora più potere, aggiunge Dameno, ricordando i movimenti contro la monocultura del nocciolo: “una vigilanza partecipata, dal basso, diffusa sul territorio può arrivare a incidere anche sul livello della qualità del cibo”.

Si può fare molto, quindi, anche “solo” da cittadini, “ma è essenziale essere consapevoli e saper fare rete. Solo così ci si può far sentire a livello politico e avere un riconoscimento giuridico”. Secondo Lunghi e Dameno anche in Italia stiamo imparando, ma non dobbiamo cadere vittime di retoriche stereotipate e ingannevoli come “il piccolo è sostenibile” e “il made in Italy è genuino”. Questa è una sfida tutta italiana che anche una futura definizione EU non ci potrà mai aiutare a risolvere.

Fonte : Wired