Intervista a Melati Wijsen, la leader del movimento globale contro i sacchetti di plastica

Ci vuole coraggio a 12 anni per dare il via a una rivoluzione gentile. O forse serve proprio la follia genuina che appartiene a quell’età. Perché quando Melati Wijsen e sua sorella minore Isabel nel 2013 hanno fondato Bye Bye Plastic Bags (Bbpb) mai pensavano sarebbe diventato uno dei più grandi movimenti giovanili che combattono i rifiuti di plastica.

E non è per dire: dall’Indonesia, dove fu creato il primo team 12 anni fa, oggi esistono oltre 50 squadre Bbpb nel mondo. Ogni anno Bbpb organizza la Bali’s Biggest Clean Up, che mobilita più di 60mila persone in 430 siti dell’isola e ad oggi ha raccolto più di 155 tonnellate di plastica. Così il primo grande risultato le Wijsen lo hanno già ottenuto nel 2018, dopo 6 anni di campagne, quando i sacchetti di plastica monouso sono stati vietati nella loro nativa Bali. Non solo raccogliere plastica, ma sensibilizzare e creare comunità: ad esempio, fomentando la nascita di cooperative di lavoro che producono borse alternative ai sacchetti di plastica, in materiale sostenibile e riciclato. Una cavalcata così intensa che ha portato Melati alla corte dell’ex presidente Barack Obama, dopo che i suoi interventi al World Economic Forum, all’Unione europea e in diversi summit internazionali hanno fatto il giro del web. Wired l’ha incontrata allo Smart City Expo World Congress di Barcellona: ecco cosa ci ha raccontato.

Trasformare la frustrazione in attivismo

Diversamente da molti suoi coetanei – spesso vittima della controinformazione di Big Oil – Melati Wijsen guarda a Greta Thunberg come una fonte d’ispirazione: “Ha fatto un lavoro incredibile sulla crisi climatica. Ha reso ognuno consapevole di cosa stava succedendo, aprendo così un dibattito planetario sul tema ambientale che oggi è diventato quotidiano. Nonostante la giovane età, oggi 24 anni, dal vivo Melati mostra carisma e consapevolezza da leader anche se rispetto a Greta ha un sorriso dolce e lineamenti delicati che in ogni caso non tradiscono la fermezza delle sue convinzioni. La spinta delle sorelle Wijsen nasce con uno spirito più glocal rispetto all’attivista svedese: prendersi cura della propria isola.

Nasce con questo spirito, ad ottobre del 2013, l’iniziativa Bye, Bye, Plastic Bags. “Da sempre è normale che i giovani si alzino in piedi per protestare: dai diritti mancati ieri alla crisi climatica oggi. Però nel nostro presente, rispetto al passato, tutto è amplificato dalla tecnologia: basta un click per raggiungere chiunque al mondo. Dobbiamo sfruttare la potenza di questa interconnessione digitale”. Un elemento che secondo l’attivista indonesiana ha il vantaggio di poter verticalizzare la protesta, focalizzando le azioni su singoli goal specifici pur avendo una massa critica di utenti. Un po’ come la teoria della long tail di Chris Anderson, ex direttore di Wired, sul mercato digitale (raggiungere più nicchie possibili rispetto a puntare ad un mercato generale) che in questo caso si applica all’efficacia delle proteste ambientali.

Centinaia di migliaia di morti nel mondo sembrano essere collegate alla plastica

In una recente analisi, i ricercatori si sono concentrati in particolare su tre sostanze che in molte occasioni sono state associate a tossicità per l’essere umano. C’è però una buona notizia: i nuovi regolamenti sembrano efficaci

Nonostante il sorriso aperto e lo sguardo calmo, Melati non disconosce gli attivisti ambientali che fanno anche gesti estremi, come il caso di Ultima Generazione nel macchiare le opere d’arte con la vernice o in passato Extiction Rebellion che fermava il traffico stradale. “Credo che queste azioni nascano dalla frustrazione perché le scelte per il cambiamento non stanno avvenendo e le cose non cambiano. Credo che per questo le proteste siano più aggressive: è già tardi e le cose peggiorano globalmente. Sembrano scelte estreme ma sono legate alle istanze di giovani, scienziati, greentroller, attivisti, changemaker. Credo solo che queste soluzioni estreme non siano efficaci per rispondere alla domanda più importante: come possiamo attrarre l’attenzione di diversi gruppi di persone, che oggi non si interessano al tema?”.

La crisi climatica nell’era di Donald Trump

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca sembra essere la pietra tombale del coinvolgimento statunitense nella lotta alla crisi climatica. “Non è solo Trump, ma un’onda politica che si respira nel mondo in quest’ultimo anno. Penso sia un forte esempio della grande divisione nelle nuove generazioni tra attivisti climatici ed elettori che in quest’ultimo anno ha portato al potere politici che la pensano come Trump, oltre a lui. In Indonesia, da dove vengo, il gap tra le persone comuni e i rappresentanti istituzionali è sempre più profondo”. Wijsen pensa che sia anche a causa di una disconnessione nella nostra percezione dei problemi ambientali: “Le persone non vedono la plastica connessa al petrolio, non la connettono al modo in cui è prodotta o da dove viene. E’ qui che dobbiamo cambiare la narrazione per influire sul modo di pensare: mettere al centro l’interconnessione tra diversi elementi che sembrano lontani. Ad esempio come la crisi climatica sia legata alla mobilità o alle scelte di voto che facciamo e ai leader che abbiamo, o al modo in cui mangiamo. Questo è il quadro che dobbiamo dare perché ciò che stiamo cominciando a vedere nel mondo politico è la tendenza a seguire il “business as usual”, una prospettiva che è insostenibile già nel breve periodo dato che ogni anno consumiamo quasi il doppio delle risorse planetarie disponibili: siamo già in debito”. E prima o poi il conto arriva. Come si potrà pagare? Con soluzioni climate tech: “Ne abbiamo moltissime, sono sempre più alla portata di tutti ed efficaci. Innovazione e tecnologia sono accelerate, e così il futuro: dieci anni fa eravamo lontanissimi da alcuni risultati, oggi abbiamo bisogno di tempo e investimenti ma possiamo risolvere qualsiasi sfida imposta dal cambiamento climatico”.

Gli ordini esecutivi sul clima di Trump sono un enorme campanello d’allarme

Tra il ritiro dall’Accordo di Parigi e il rinnovato focus sui combustibili fossili, le prime mosse del neopresidente rappresentano una dichiarazione di intenti molto esplicita

Fonte : Wired