Gli Stati Uniti sono un paese di estremi. E nulla lo dimostra meglio della reazione trumpiana alle politiche progressiste del precedente governo: diversità e inclusione vengono capillarmente cancellati da ogni aspetto dell’apparato federale americano, sostituiti da un nuovo mantra, quello del risparmio. Un risparmio da attuarsi con tagli draconiani all’amministrazione pubblica e che diventa occasione di vendetta sul nemico, politico e culturale.
Università e istituti di ricerca sono tra i bersagli principe della furia iconoclasta di Trump e di Musk, esecutore materiale della nuova agenda dell’estrema destra di governo americana – il cosiddetto Project 2025 – che alla guida del Departement of Govenment Efficiency (Doge) sta smantellando le principali agenzie federali, come il National Institute of Health (Nih) e la National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa). E che così facendo, sta paralizzando l’ecosistema di ricerca scientifica libera e, più o meno, pubblica che a loro, e ai loro finanziamenti, si affidava.
La censura: vietato dare fastidio a Trump
A pochi giorni dal suo insediamento, una serie di ordini esecutivi e note emanate dal gabinetto del presidente statunitense hanno dato inizio alla guerra a quelli che Trump, e il suo elettorato, vedono come i capisaldi della cultura woke: teoria “gender”, politiche Dei (Diversity, equity and inclusion), lotta ai cambiamenti climatici. In breve tempo, la situazione è degenerata al punto da trasformarsi in una sorta di caccia alle streghe: i siti internet delle agenzie governative hanno iniziato ad essere epurati da qualunque riferimento al genere, ai diritti della comunità Lgbt+, al riscaldamento globale o alla giustizia climatica.
Per le istituzioni scientifiche, la situazione si è rivelata anche più complicata. Ogni progetto di ricerca che include tematiche anche solo lontanamente ricollegabili ai nuovi tabù deve essere cancellato, ogni documento o ricerca pubblicamente accessibile rimossa dal web. Alla National Science Foundation (agenzia che si occupa di finanziare la ricerca di base in campo non medico) sembra sia stata stilata una lunga lista di parole vietate, che comprende termini come Lgbt, eredità culturale, discriminatorio, pregiudizio, ma anche parole di uso comune come donne (ma non uomini), o disabilità, che viene utilizzata per screenare tutti i documenti contenuti nei suoi database, e segnalare per un controllo manuale quelli che potrebbero dover essere modificati o rimossi.
Simile la situazione anche al National Institute of Health (o Nih, che si occupa di ricerca biomedica), da cui dipendono diverse altre agenzie dedicate alla salute, come il National Center for Biotechnology Information (Ncbi), che opera PubMed – il più grande e utilizzato database di articoli scientifici al mondo – o i Centers for Disease Control and Prevention, organismo di controllo dedicato alla salute pubblica, che in questi giorni ha vietato ai propri ricercatori di pubblicare articoli scientifici contenenti le parole proibite non solo sulle proprie pagine e pubblicazioni, ma in qualunque tipo di rivista scientifica.
I pericoli di questa caccia alle streghe dovrebbero essere evidenti. L’intero sistema di ricerca pubblica americano sta venendo snaturato, privato della sua libertà e piegato all’agenda e all’ideologia del presidente. Ma non solo, perché il nuovo maccartismo trumpiano rischia di avere conseguenze molto più pragmatiche: la censura sta eliminando studi scientifici, database e risorse online utilizzati per studiare l’andamento dei cambiamenti climatici e le loro conseguenze, monitorare la diffusione di patogeni pericolosi e, in definitiva, garantire la salute della popolazione americana (e non solo, visto che viviamo in un mondo globalizzato, e che la comunità scientifica globale è stata per quasi un secolo a trazione statunitense). Temi come la medicina di genere, la lotta all’Hiv e ad altre malattie sessualmente trasmesse, l’inclusione di pazienti afroamericani o ispanici nei trial clinici, non sono certo storture ideologiche, ma conquiste scientifiche che contribuiscono a salvare la vita di migliaia di persone ogni anno. E l’elettorato trumpiano rischia di scoprirlo a giochi fatti, sulla propria pelle.
Tagli e purghe: sanità imbavagliata
Con Musk alla guida del Doge, il governo punta non solo ad imbavagliare il mondo della scienza, ma anche ad affamarlo. Alla National Oceanic and Atmospheric Administration – probabilmente la più importante istituzione scientifica del mondo dedicata allo studio del clima e dei sui cambiamenti – è stato imposto ad esempio un taglio del 50 percento delle spese per il personale, e si parla di sospendere tutti i finanziamenti di programmi di ricerca dedicati ai cambiamenti climatici, alla loro prevenzione o alle politiche di adattamento.
È all’Nih però che in questi le conseguenze della crociata lanciata da Trump e Musk rischiano di farsi catastrofiche. Una delle prime iniziative prese per ridurre le spese dell’agenzia sanitaria è stata infatti quella di imporre un tetto del 15 percento ai rimborsi federali dei “costi indiretti” delle ricerche, una mossa che – a detta delle università americane – potrebbe rendere del tutto insostenibile il costo di sperimentazioni e trial clinici nel prossimo futuro.
Per capire il perché bisogna comprendere come funziona il finanziamento pubblico per la ricerca in America. Per sommi capi, ogni istituzione (università, centri e ospedali di ricerca) riceve una somma che si compone di due voci: i costi diretti, che coprono gli stipendi dei ricercatori e il materiale necessario per portare avanti gli esperimenti; e quelli indiretti, che servono per pagare tutte le altre voci di spesa dei laboratori: la pulizia dei locali, il personale non direttamente coinvolto nella ricerca, i costi di amministrazione, smaltimento dei rifiuti, e moltissimo altro. Nel 2023, l’Nih ha sborsato 35 miliardi di dollari in grant (borse di studio) per la ricerca pubblica, di cui nove miliardi in costi indiretti. Fino ad oggi i costi indiretti rimborsati a ciascun istituto venivano negoziati più o meno ogni quattro anni, e potevano andare da un minimo del 15 percento ad un massimo del 70 percento della cifra ricevuta per quelli diretti, in funzione delle diverse esigenze e del tipo di ricerche effettuate.
Le nuove regole prevedono invece un tetto del 15 percento per tutti. E questo vuol dire che moltissime università non avrebbero i fondi necessari per sostenere i propri ricercatori (già in precedenza, pur con rimborsi spesso superiori al 50 percento, le università americane sostenevano comunque di tasca proprio una parte considerevole delle spese indirette, per un totale che nel 2023 è stato di 6,8 miliardi di dollari). Attualmente, dopo una pioggia di ricorsi, la discussione si è spostata nei tribunali federali, e almeno temporaneamente i tagli sono stati bloccati.
Nel 2017 Trump aveva provato a fare qualcosa di simile, con un tetto del 10 percento ai costi indiretti rimborsati dall’Nih. All’epoca era stato fermato da un voto contrario del comitato per le appropriazioni del senato americano. Ma visto il clima che tira in questo secondo mandato, è impossibile dire come finirà questa volta. E la paura, almeno tra i ricercatori, è che possa trattarsi della pietra tombale per la ricerca pubblica negli Stati Uniti.
Fonte : Today