La richiesta americana di contribuire con truppe di pace in Ucraina divide l’Europa. È quanto emerso dal vertice convocato d’urgenza all’Eliseo, dove gli otto paesi presenti hanno assunto posizioni opposte: da una parte Francia e Regno Unito pronti all’invio di militari, dall’altra un fronte compatto di oppositori guidato da Germania, Italia e Polonia. La questione è esplosa quando Washington ha inviato un questionario formale ai paesi membri della Nato, chiedendo quali forze sarebbero disposti a schierare per garantire un eventuale accordo di pace. Di fronte a questa richiesta, il presidente francese Emmanuel Macron ha riunito i leader di otto paesi europei, più i vertici delle istituzioni comunitarie, in quello che si è rivelato un tentativo fallito di costruire una posizione europea unitaria. Il vertice si è concluso senza alcun accordo sulle questioni più importanti, con i leader che hanno lasciato Parigi su posizioni ancora profondamente distanti.
Il fronte del sì
Il fronte dei favorevoli all’invio di truppe di pace vede in prima linea la Francia di Macron. Già lo scorso anno, il presidente francese aveva avanzato questa proposta, ma l’idea è tornata a farsi concreta nelle ultime settimane, spinta dalle sollecitazioni americane sulla disponibilità dei paesi della Nato a contribuire materialmente boots on the ground. Tra i partecipanti al vertice, Parigi è la nazione che ha svolto la pianificazione militare più dettagliata: secondo quanto riportato dal Washington Post, i comandanti militari francesi avrebbero stimato di poter contribuire con circa 10.000 soldati a una forza europea di peacekeeping, che potrebbe comprendere un totale di 25.000-30.000 uomini. Il piano prevede di distribuire questi soldati in punti strategici dell’Ucraina, ma lontano dalla linea del fronte, con ulteriori riserve dislocate fuori dal paese.
All’iniziativa francese si è unito il Regno Unito, l’altra potenza nucleare europea, ma ponendo condizioni precise. Il premier Starmer ha annunciato pubblicamente che Londra è “pronta e disponibile a impegnare delle forze britanniche sul terreno al fianco di altre forze, se c’è un accordo di pace duratura”. La disponibilità britannica è però subordinata a un sostegno concreto da parte degli Stati Uniti: Londra, infatti, chiederebbe garanzie americane in termini di intelligence, sorveglianza, ricognizione e potenziale copertura aerea. Per il governo britannico, solo questo “ombrello” americano potrebbe fornire una reale deterrenza contro possibili violazioni russe dell’accordo.
Il fronte del no
Dall’altro lato della barricata, la Germania guida il fronte dell’opposizione all’invio di truppe con una bocciatura tanto immediata quanto rumorosa. Il cancelliere Scholz, infatti, non si è limitato a definire “completamente prematura” la discussione mentre in Ucraina ancora si combatte: ha anzi voluto rimarcare che si tratta di “un dibattito inappropriato al momento sbagliato e sull’argomento sbagliato”. Parole così nette da essere peraltro seguite dai fatti: il leader tedesco ha infatti abbandonato il vertice di Parigi sbattendo la porta prima della sua conclusione.
Altrettanto risoluta, ma più sfumata nei toni, appare la posizione della Polonia, paese che del resto conosce più di altri le implicazioni di un confronto con Mosca. Il premier Tusk ha dunque escluso senza mezzi termini l’invio di soldati polacchi, concedendo tuttavia uno spiraglio: Varsavia è infatti pronta a fornire “sostegno logistico e politico” ai paesi che volessero partecipare alla missione. Una cautela, spiega il Washington Post, dettata anche dal calendario elettorale: sia Polonia che Germania si preparano infatti alle urne, rendendo politicamente esplosiva qualsiasi decisione sull’invio di truppe.
Le perplessità, del resto, serpeggiano in tutto il continente, assumendo forme diverse ma non meno significative. I Paesi Bassi hanno infatti sollevato, per bocca del ministro della Difesa Brekelmans, quello che appare come il nodo cruciale: chi avrebbe il “dominio dell’escalation” in caso di tensioni? Un dubbio che si intreccia con le preoccupazioni della Spagna sull’inopportunità di discutere dispiegamenti mentre le armi non tacciono, e con le critiche dell’Italia di Meloni non solo alla proposta ma anche al formato ristretto del vertice. Romania e Repubblica Ceca, infatti, – escluse dal tavolo nonostante la loro posizione geografica – hanno già fatto sentire tutto il loro disappunto.
Le istituzioni europee hanno pertanto cercato di ricucire lo strappo, consapevoli della posta in gioco. Il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa ha infatti evitato di schierarsi, preferendo definire l’incontro di Parigi “l’inizio di un processo che continuerà con il coinvolgimento di tutti i partner impegnati per la pace e la sicurezza in Europa”. Il vertice di Parigi, tuttavia, lungi dal risolvere le divergenze, sembra anzi averle rese ancora più evidenti.
Fonte : Wired