Sanremo 2025, cosa ha funzionato e cosa no

Concluso Sanremo 2025 con la vittoria di Olly e la sua Balorda nostalgia, a mente fredda e con una certa calma, lontana per quel che è possibile dai ritmi della kermesse, si tirano le somme e si può avere un’idea generale e compiuta di questa edizione e di cosa sia cambiato dall’era Amadeus. Intanto sappiamo che Carlo Conti ha confermato che “Sarò di sicuro il direttore artistico, penso anche il conduttore”. In termini di risultati era difficile riuscire a superare i record precedenti e invece ci è riuscito. Ad esempio nella prima puntata ci sono stati 12.180.000 spettatori, con il 65,3% di share. Nel computo totale 2 milioni di spettatori in più rispetto allo scorso anno. A questo, va però precisato che quest’anno viene presa in considerazione la Total audience che ovviamente rende molto difficili i paragoni.

I nuovi dati, dunque, includono gli ascolti non solo dei televisori tradizionali ma anche quelli dei cosiddetti small screen, ovvero pc, tablet e smartphone, e pure gli ascolti VOD (video on demand) e le visioni TSV (Time Shifted Viewing). Questo significa che in aggiunta ai 45 milioni di apparecchi tv presenti nelle case degli italiani vengono considerati anche circa 75 milioni di nuovi schermi connessi. Andando a guardare la media spettatori per puntata si è passati da 11milioni e 423mila spettatori a 12milioni e 47mila con una crescita dello share medio per puntata da 65,44% a 66,38%. Ma il Festival non è solo numeri e risultati, è anche musica e soprattutto contenuti che quest’anno sono stati decisamente appiattiti e banalizzati dove non è di certo un duetto tra la cantante israeliana (Noa) e la palestinese con cittadinanza israeliana (Mira Awad) ad alzarne il livello o a sensibilizzare nel modo corretto il conflitto tra israelo-palestinese e il genocidio a Gaza. Abbiamo provato per punti a raccontare cosa ha funzionato e cosa no in questa edizione.

La conduzione turbo di Carlo Conti

Riuscire a concludere a orari umani le serate del festival di Sanremo è qualcosa che pensavamo non potesse esistere dopo il quinquennio di Amadeus. In questo Carlo Conti aveva già un’idea di conduzione asciutta e veloce, che di partenza non poteva che portare solo vantaggi. Dall’altra parte però comprimere 29 esibizioni e qualche ospite ha reso tutto così veloce che sembrava di ritrovarsi in un sistema fordista a ciclo continuo, dove non restava quasi nemmeno il tempo di dare il mazzo di fiori all’artista o di salutare qualcuno. A un certo punto Carlo Conti chiede alla co-conduttrice Elettra Lamborghini di “mettere il turbo”. Va bene tutto, la rapidità è apprezzata ma magari selezionare qualche ospite in meno avrebbe evitato questi momenti di eccessiva frenesia poco piacevoli. La raccolta di queste situazioni ormai si sprecano, dal labiale che invita Cristicchi ad andarsene dopo l’annuncio del quinto posto allo spoiler sul ricordo che avrebbe voluto fare Mariasole Pollio per la nonna. Trenta (poi diventate ventinove) sono troppe esibizioni, troppo tempo a disposizione, poca selezione. Non possono pretendere di esserci tutti a Sanremo, e le etichette prima di tutte – e successivamente gli artisti e i loro management – devono farsene una ragione. Tentare di accontentare tutti non serve a nulla. Non giova all’evento musicale e televisivo, né tantomeno a loro.

La regia

Tra le note positive c’è la regia di Maurizio Pagnussat decisamente dinamica ma non isterica, che ci ha permesso di ammirare gli artisti, ognuno di loro con un montaggio personalizzato. Per alcuni si sono utilizzati effetti, forme geometriche e immagini splittate, per altri, come per il brano dal sapore di vecchia Roma di Tony Effe, Damme ‘na mano, sono stati utilizzati filtri seppia per antichizzare l’immagine e creare l’atmosfera adatta. Lavoro di ripresa superbo che per chi ha avuto come noi l’opportunità di guardare le prove emerge in modo lampante la qualità e la precisione del lavoro. Gli operatori steadycam sembravano dei ballerini nel danzare attorno agli artisti qualche manciata di secondi, e per ognuno in modo diverso in base alla tipologia di brano o di cantante. In generale tutto l’apparato audio/video è stato di ottimo livello, salvo quel piccolo problema iniziale nella prima puntata in cui per 29 secondi l’audio dal festival era totalmente sparito e la voce di Carlo Conti totalmente assente. Problema prontamente risolto al 30esimo secondo.

La tecnologia e la scenografia sul palco del Festival di Sanremo 2025

Ci siamo fatti raccontare da Stefano Corsi, project manager dell’evento canoro, tutte le novità che vedremo in questa edizione. Alla regia, quest’anno, ci sarà Maurizio Pagnussat

L’Italia non è un paese per persone con disabilità, tantomeno il festival di Sanremo

Portare sul palco il Teatro Patologico non esime dal parlarne e raccontarlo nel modo adeguato, cosa che non è successa all’Ariston. La terza serata di Sanremo 2025 ha visto il bel progetto nato nel 1992 e diretto dal fondatore e ideatore Dario D’Ambrosi, che come descritto “si occupa di un lavoro unico ed universale, quello di trovare un contatto tra il teatro e un ambiente dove si lavora sulla malattia mentale, dove girano ragazzi con gravi problemi psichiciavvolto da un racconto paternalista e pietistico inutile. Qualcosa di molto simile era già successo nella prima puntata con il ricordo di Sammy Basso, biologo e divulgatore affetto da progeria, scomparso qualche mese fa. Le frasi dette da Carlo Conti e Jovanotti “Era felice nonostante tutto” e “Una leggenda, anche se pesava una mela” sono state sicuramente dette con tutte le buone intenzioni del caso, ma risultano totalmente sbagliate, come spiega Valentina Tomirotti (giornalista, diversityteller e content creator) in un post su LinkedIn: “Raccontare una persona significa parlare di ciò che ha fatto, di ciò che era, senza ridurlo a una battaglia contro la propria condizione. Le persone con disabilità non sono esempi di coraggio per il solo fatto di esistere, nemmeno per quello che scelgono di fare con la loro esistenza. Se vogliamo ricordare Sammy, facciamolo per ciò che ha lasciato al mondo”. E questa è una critica non solo a chi conduce ma anche a chi scrive il programma che non si pone il problema di una narrazione del genere.

Fonte : Wired