Instagram sta testando il “Non mi piace”. Storia breve (e tormentata) del pollice all’ingiù

La tribolata storia del pulsante dislike, anche noto come “Non mi piace”, è vecchia almeno quanto le piattaforme di social network, poi evolute nel più complesso e caotico sistema di social media. Praticamente tutte l’hanno testato in una o più fasi della propria evoluzione. Quasi sempre, il “Non mi piace” è stato ritirato a favore dell’unica opportunità di esprimersi in senso favorevole (o magari anche piagnucolante, o entusiasta, o stupita, ma pur sempre a base di emoji e senza possibilità nettamente oppositive) e in qualche caso mantenuto, anche se per possibilità per così dire collaterali. E a beneficio degli algoritmi di casa.

L’ultima notizia è che Instagram starebbe – di nuovo – testando un “Non mi piace”. Secondo Meta dovrebbe essere un modo più efficace per segnalare i commenti irrilevanti o sgradevoli. Di nuovo, come è evidente, il dislike entrerebbe dalla porta di servizio: di certo non disponibile per affiancarsi ai cuoricini ma relegato, un po’ in stile Reddit, alla gerarchizzazione dei commenti. A quanto pare la novità sarebbe in fase di analisi sia in calce ai reel sia per i commenti ai tradizionali post non video.

Lo storico no di Mark Zuckerberg

Il “Non mi piace” è dunque da sempre in bilico fra tentativi, rimozioni, implementazioni parziali e un senso più generale di dubbio sul suo effettivo lancio e sui suoi possibili effetti collaterali. Sebbene nei commenti di tutti i social si legga ogni genere di nefandezza, le piattaforme hanno sempre ritenuto – lo ha spiegato più volte anche Mark Zuckerberg – che il dislike potesse intossicare l’ambiente, supportare il cyberbullismo e magari azioni generali e concertate di affossamento a suon di pollici all’ingiù dei contenuti di certi profili.

Per questo, nell’ormai lontano 2016, arrivarono le Reactions: alternative che portarono il Mi piace alle sue massime sfumature possibili senza tuttavia avere il coraggio di fare il passo definitivo verso un sano e salvifico “Non mi piace”. Invece di risolvere il problema lo spostarono clamorosamente: se ci pensate bene, su Facebook non possiamo sostenere che qualche cosa non ci piaccia – se non, naturalmente, scrivendolo o commentando con altri contenuti. Stando alle faccine a disposizione siamo costretti a farcela piacere a ogni costo con un like, ad amarla (cuore), a deriderla o a divertirci (faccina che sghignazza), a stupircene (faccina stupita), a commuoverci (emoji piangente) o ad arrabbiarci di brutto (faccina iraconda). Siamo cioè costretti, quando la sensazione di partenza non corrisponda con le scelte che ci sono state prevetivamente messe a disposizione, a distorcere quella medesima sensazione d’origine in modo molto profondo. Tutto possiamo fare tranne che esprimere un pacifico, lineare e sobrio “non mi piace”.

Addirittura nel 2014, quando Facebook aveva solo 6 anni – alla luce dei recenti cambi di casacca del fondatore di Facebook, davvero un’epoca fa – Zuck spiegò che “il tasto “Mi piace” è importante perché dà un modo per esprimere molto rapidamente un’emozione positiva quando qualcuno condivide un’idea o un momento. Qualcuno ha però chiesto di potere avere un tasto “Non mi piace” perché vuole avere la possibilità di dire “Questa cosa non va bene”. Pensiamo che una simile soluzione non sia buona per nessuno, quindi non introdurremo un tasto “Non mi piace”. Non penso che ci debba essere un meccanismo di voto per stabilire se un determinato post sia valido o scadente”.

Il Non mi piace sugli altri social

Sono turbamenti che hanno riguardato, come si diceva, praticamente tutte le piattaforme. Il Non mi piace è arrivato molti anni fa su YouTube, dove tuttavia nel 2021 il numero dei dislike è stato nascosto per contrastare i cosiddetti “brigading” (attacchi coordinati per affossare un video). Il tasto esiste ancora ma il conteggio è visibile solo ai creatori dei video. Su Reddit, invece, è da sempre attivo unsistema di upvote e downvote per classificare i contenuti e i commenti in base alla loro rilevanza. Anche Twitter (l’attuale X in mano a Elon Musk), fra le ultime piattaforme che all’epoca cedette alla logica dei cuoricini – chi si ricorda la storica stellina? – ha sperimentato ormai quasi quattro anni fa un pulsante di “downvote” per i commenti, ma non per i tweet. Nel 2022 TikTok ha introdotto un tasto “Non mi piace” di nuovo solo per i commenti, per consentire agli utenti di segnalare contenuti inappropriati senza esprimere pubblicamente il disaccordo. Anche in questo caso, però, contrariamente ai like, il conteggio totale non è visualizzabile. Chi è andato controcorrente è stato Netflix: fino al 2018 utilizzava il classico meccanismo di rating con le cinque stelle e di punto in bianco lo ha sostituito prima con i due pollicioni e ora con tre. Il dislike (“Non fa per me”), il Mi piace e il doppio Mi piace (“Adoro!”).

Tornando alle ultime mosse di Instagram, pure in questo caso il servizio non mostrerà il numero di Non mi piace associati a ogni singolo commento. Anche se Adam Mosseri, grande capo di Instagram e storico braccio destro di Zuckerberg, ha spiegato che i dislike finiranno per contribuire alla classifica dei commenti. Come? Esatto, la funzionalità sarà molto simile al pulsante di voto negativo di Reddit. “Questo meccanismo offre alle persone un modo privato per segnalare che un commento in particolare non le convince” ha scritto Mosseri su Threads. “La nostra speranza è che questo possa contribuire a rendere i commenti più amichevoli su Instagram”. Per il momento il dislike è visibile a un gruppo ristretto di utenti, visto che si tratta appunto dell’ennesimo test sull’argomento.

Insomma, la dittatura del Mi piace sui social media non corre particolari rischi. Certo, ci sono – quasi ovunque – le faccine, ma continua a non esistere un sonoro e secco Non mi piace. Di pollici versi ce ne sono pochi. Le piattaforme si preoccupano tanto, e da tempo, che un’opzione negativa possa cambiare il mood delle discussioni, conducendo a contrasti e diatribe continue, quando quelle piattaforme sono già, e perfino da più tempo, ricettacoli del peggio che si possa concepire.

Fonte : Repubblica