A thousand blows potrebbe calmare per un po’ la vostra sete di Peaky Blinders

Steven Knight nel corso della sua vita ha fatto tante cose. Ha scritto sceneggiature di film come La promessa dell’assassino, Millennium – Quello che non uccide, Spencer e Maria. Ne ha anche diretto qualcuno come Locke e Serenity.

Citando La settimana Enigmistica “forse non tutti sanno che” è anche uno dei tre ideatori di uno dei programmi televisivi più famosi fra la fine degli anni novanta e oggi, Who Wants to Be a Millionaire? che dalle nostre parti è noto come Chi vuol essere milionario?

Ma è soprattutto negli ultimi dieci anni – abbondanti – che è diventato un’autentica celebrità globale grazie alla sua creazione più famosa in ambito di fiction: Peaky Blinders. La serie è prodotta dalla BBC e interpretata da un cast strepitoso capitanato dal recente premio Oscar di Oppenheimer Cillian Murphy. È vagamente ispirata alle gesta di una gang criminale realmente esistita e attiva nella Birmingham di fine 1800 e inizio 1900 e si è rapidamente imposta all’attenzione del pubblico per le interpretazioni magnetiche del cast e per il suo stile crudo e post-moderno che, non a caso, è stato anche palesemente copiato (male) per la recente M – il figlio del secolo di Joe Wright con Luca Marinelli. Si è chiusa un paio di anni fa con la sesta stagione, ma, in arrivo, c’è un film che, fuori dall’Inghilterra, sarà disponibile come al solito su Netflix e oltretutto Steven Knight ha già detto esplicitamente che in futuro potrebbero arrivare degli spin-off.

Mentre siamo tutti in trepidante attesa dei nuovi capitoli della saga dei criminali di Birmingham, Mr. Knight ha comunque deciso di fare a tutti noi un regalo intitolato A thousand blows, disponibile dal 21 febbraio in streaming su Disney+.

Di cosa parla A thousand blows

Perché A thousand blows è un regalo per chi è in crisi d’astinenza da Peaky Blinders? Vi illustriamo la trama così potrete capirlo abbastanza autonomamente.

La serie ci protetta nell’East End londinese d’inizio ‘900. Se non siete pratici della zona, sappiate che fino ai primi anni del duemila, quella parte della capitale inglese non era propriamente “turistica” per così dire. Il tasso di povertà era mediamente elevato così come quello di criminalità. D’altronde parliamo dell’area un tempo bazzicata da un signore passato alla storia come Jack lo squartatore, il che è tutto dire. Poi, all’alba del nuovo millennio, è cominciato tutto un processo di riqualifica che l’ha resa decisamente più “safe” e moderna e, paradossalmente, se prima la situazione di povertà era mediamente uniforme adesso c’è un paradossale contesto fatto di elevata ricchezza per alcuni e mancanza di mezzi per altri. La gentrificazione. Tornando alla creazione di Steven Knight, questa racconta la storia di Hezekiah Moscow (Malachi Kirby) e Alec Munroe (Francis Lovehall), migliori amici provenienti dalla Giamaica, che, appena sbarcati a Londra, vengono rigettati a tempo di record dalla snobbissima zona di Westminster e indirizzati a un’area a loro più adatta: quella dell’East End che è sia il ventre criminale della capitale nonché il principale palcoscenico della scena londinese del pugilato a mani nude. È proprio grazie a quella versione molto più ruda della nobile arte che Hezekiah ha successo riuscendo, nel mentre, a focalizzare su di sé le attenzioni della famigerata Regina dei Quaranta Elefanti, Mary Carr (Erin Doherty), decisa a sfruttare a suo vantaggio le abilità pugilistiche di Hezekiah: in testa ha un colpo grosso per cui il giovane è necessario. Solo che nel mentre il nostro è riuscito a inimicarsi Sugar Goodson (Stephen Graham), che in quello spicchio di Londra fa il buono ma soprattutto il cattivo tempo.

Anche sul ring. Che è dove vuole fare a pezzi il giovane giamaicano che, per lui, è un’autentica minaccia.

Un ottimo “sdigiunino” aspettando il film di Peaky Blinders

Citare Giorgione era un passaggio quasi obbligato per mettere subito le cose in chiaro: se amate Peaky Blinders, A thousand blows non potrà non piacervi.

Anche questa produzione, come la precedente, ci mostra uno spaccato dell’Inghilterra di un secolo fa che si situa in direzione contraria a quella di Downton Abbey o dei film di James Ivory.

La Londra di A thousand blows.

Che è quella descritta da Stephen Sondheim in Sweeney Todd, quella perfettamente riassunta dal barbiere di Fleet Street quando canta “There’s a hole in the world like a great black pit And the vermin of the world inhabit it And its morals aren’t worth what a pig could spit And it goes by the name of London”.

La nobiltà c’è, ma c’è per stabilire una netta cesura fra l’habitat dell’East End e lo spicchio più ricco di Londra che è il vero “black pit” di crudeltà e ipocrisia. L’East End sarà anche un posto terribile in cui vivere, ma, per quantoi assurdo, ha delle regole più oneste nel regolare i rapporti fra le persone. Ed è proprio lì che per quasi settant’anni belli pieni (negli anni cinquanta del secolo scorso esisteva ancora) è stata attiva la gang criminale femminile delle Forty Elephants. E anche qua abbiamo un ulteriore punto di contatto concettuale con Peaky Binders: un pezzo di vera storia inglese viene preso e riformulato per raccontare una vicenda di fiction. Che dice molto dell’Inghilterra di oggi, di come viene vista da chi abita al di fuori dei confini dell’isola una volta impero e di chi la abita e non vede di buon occhio quello che la Brexit ha portato e sta portando. Non a caso Hezekiah ed Alec vengono vomitati via dalla parte più ricca della città, ma anche in quella più povera e proletaria devono comunque affrontare per più di un ostacolo del via del colore della loro pelle.

Il messaggio è sicuramente importante, sia chiaro, ma è forse un po’ troppo didascalico e contribuisce a far sì che questa A thousand blows resti sì godibile, ma abbastanza lontana da quello che Steven Knight ha toccato con Peaky Blinders. Purtroppo, data l’ambientazione, data la storia, dati i toni stessi di questa nuova produzione, i paragoni con l’epopea di Thomas Shelby e famiglia è inevitabile. Beninteso, non è che A thousand blows esca dal ring con le ossa rotte e un KO tecnico: ce ne fossero di produzioni di questo livello. È che la complessità morale, il livello interpretativo e la messa in scena di Peaky Blinders stanno su un altro livello. Malachi Kirby ed Erin Doherty (che abbiamo visto in The Crown nei panni della principessa Anna) fanno un buon lavoro, ma i loro personaggi restano comunque più semplici, più stereotipati se paragonati a quello che sappiamo. L’unico a reggere davvero un confronto dal quale, purtroppo, non si più sfuggire è Stephen Graham nei panni di un Sugar Goodson che non è solo furia animalesca dentro e fuori dal ring. Propone una complessità figlia dell’habitat stesso che l’ha plasmato.

Per questo, vale la pena notare che se vi avvicinate a questa serie con lo scopo di vedere qualcosa “sullo stile di” non rimarrete delusi, quello vien da sé. Ma è altrettanto doveroso specificare che non è e non può (forse neanche vuole) essere la stessa cosa ed è da qui che potrebbe nascere l’eventuale “sì, è bella però”.

Probabilmente il discorso può cambiare se vi approcciate a questa nuova proposta con occhi privi di pre concetti perché magari non avete mai visto Peaky Blinders. Al massimo vi potrebbe venir pensato roba come “cavoli, quanto tempo è passato da quando Stephen Graham ha interpretato Tommy in The Snatch”. In quel caso aumentate pure di un punto il voto che leggete qua sotto. Solo che poi forse vi verrà voglia di andare a recuperare l’altra su Netflix e, in quel caso, tornerà a valere il numero a seguire.

Voto: 7

Fonte : Today