Secondo Microsoft l’intelligenza artificiale generativa potrebbe renderci stupidi

Nonostante i toni un po’ drammatici, l’indagine di Microsoft lascia quindi intuire che l’avvento della GenAI stia più che altro sollecitando una rivoluzione applicativa dello spirito critico. Al posto di focalizzarci sul reperimento delle informazioni, la nostra attenzione si sta progressivamente spostando verso la verifica e l’integrazione delle stesse; tuttavia, bisogna tenere necessariamente in considerazione che è ancora fin troppo facile incappare in un uso inconsapevole dello strumento, soprattutto in quei contesti sociali in cui l’alfabetizzazione digitale non riesce a tenere il passo con l’avanzamento tecnologico. Questa evoluzione comporta una riflessione profonda sulle modalità con cui interagiamo con le nuove tecnologie, imponendoci di ripensare il modo in cui esercitiamo il nostro giudizio e sollecitando un impegno cognitivo diverso rispetto a quello tradizionale.

Tutta la ricerca che è in corso e che si sforza di comprendere l’impatto dell’IA sulla cognizione è essenziale per aiutarci a sviluppare strumenti che possano promuovere lo spirito critico”, ci ha scritto il dottor Lev Tankelevitch, ricercatore senior di Microsoft Research. “I modelli di ragionamento profondo stanno già supportando questa direzione assicurandosi che il processo dell’AI sia più trasparente – rendendo più facile agli utenti verificare, mettere in dubbio e imparare dalle panoramiche da loro generate”. Questo punto di vista sottolinea l’importanza di un approccio scientifico e metodico nell’analisi delle interazioni tra intelligenza artificiale e processi cognitivi, al fine di ricavare indicazioni utili per lo sviluppo di strumenti che, piuttosto che sostituire il pensiero umano, lo arricchiscano e lo stimolino.

Abbiamo domandato a un portavoce di Microsoft se, in relazione all’indagine, i ricercatori abbiano notato eventuali impatti dell’antropomorfizzazione della GenAI sullo sviluppo della fiducia dell’utente e, di conseguenza, sulla riduzione dello spirito critico. Non abbiamo ricevuto una risposta diretta, ma l’azienda ha tenuto a chiarire che l’indagine, essendo basata sul format del sondaggio, non dimostri una correlazione tra intelligenze artificiali e carenza di spirito critico, ma sia lo specchio di un percepito che dovrà essere esplorato con future ricerche ed esperimenti più oggettivi.

Il limite dell’autovalutazione da parte dei partecipanti alla ricerca è condiviso anche da altre indagini; tuttavia, diversi accademici convengono nel sostenere che sia necessario procedere con cautela e offrire alle generazioni future gli strumenti necessari a sviluppare una partecipazione consapevole nell’uso delle nuove tecnologie. Che questo stimolo derivi direttamente dalla progettazione degli strumenti, da un adeguato sistema di istruzione o dall’adozione di un codice normativo, poco importa: la questione resta di primaria importanza. La crescente complessità dell’ecosistema digitale richiede infatti un impegno congiunto per garantire che l’innovazione tecnologica non avvenga a scapito delle capacità decisionali dell’essere umano, le quali dovranno sempre e comunque essere impiegate per vigilare sull’operato delle intelligenze artificiali, seguendo la dottrina dello human-in-the-loop (HITL).

L’urgenza immediata consiste, dunque, nel riconoscere che, nonostante le ambizioni di molte aziende e di una consistente fetta del mondo finanziario, i modelli di intelligenza artificiale non sono (ancora) adatti a sostituire l’intelletto umano, bensì esistono per affiancare le persone e potenziarne le possibilità. È dunque fondamentale che il pubblico e gli operatori del settore mantengano una visione realistica degli scopi e dei limiti della tecnologia, evitando di cadere in un eccessivo entusiasmo o in un allarmismo ingiustificato. “Tutte le ricerche sono caratterizzate da un elemento comune: [evidenziano che] l’AI funziona al suo meglio se viene considerata come un partner complementare al lavoro eseguito dalle persone”, aggiunge Tankelevitch. “Quando l’AI ci mette alla prova, non si limita a migliorare la produttività, ma ci conduce ad assumere decisioni migliori e a esiti più solidi”.

Fonte : Wired