nikos nikolopoulos
È un film tutt’altro che facile da digerire, quello di Rebecca Lenkiewicz. Rischia di far parlare di sé più per le scene di saffiche effusioni tra Mackey e Krieps che per gli argomenti che porta sullo schermo, che aprono a dibattiti immensi sulla malattia, la cura, la depressione, le cure palliative, le terapie alternative e i diritti di chi si prende cura dei cari malati. Nasce dal vissuto della regista, dalla sua esperienza di figlia di un uomo gravemente malato di depressione. Questo biografismo si percepisce nel film, specie nella chirurgica precisione con cui si racconta la feroce intimità di un complesso rapporto a due, tra figlia e genitore, dove il secondo dipende dalla prima sia fisicamente che emotivamente. Un rapporto malsano e mai sanato, neanche nel film, che prevede tra l’altro una figura paterna pressoché assente, mai di vero supporto neanche quando verrà interpellata.
A salvare e tenere alta la qualità di Hot Milk sono soprattutto le attrici, perfette nei loro tutt’altro che semplici o banali ruoli. Convince meno la scrittura, a tratti sfilacciata, a parte la scelta forte e moralmente discutibile di un finale aperto e catartico, un colpo di scena capace di rimanere impresso anche una volta usciti dalla sala, nella dichiarata voglia di non proporre facili soluzioni e lasciare al pubblico il compito di prendere una posizione.
Fonte : Wired