Lucio Corsi è senza dubbio la nota più positiva di questo Festival di Sanremo. In pochi lo conoscevano prima di vederlo suonare e cantare sul palco dell’Ariston, ma gli sono bastati pochi minuti per fare breccia nel cuore del pubblico con una naturalezza che è appannaggio solo dei veri artisti, quelli di talento. Quelli che non hanno bisogno di costruirsi un personaggio fittizio per emergere, un personaggio che poi li ingabbia e che sono costretti ad adattare, snaturare e forzare a seconda del contesto (vedi Tony Effe).
Nessun modello machista
Nel testo della sua canzone ci sono anche dei passaggi estremamente significativi per quanto riguarda le ansie che vivono i giovani. Soprattutto i giovani come lui, quelli che non rientrano nel modello machista, ancora oggi egemone grazie anche a un panorama musicale mainstream sempre più saturo di rapper che sanno solo ostentare soldi, muscoli e numero di rapporti sessuali. Il che andrebbe anche bene, se non fosse che poi, alla prima occasione, rinnegano completamente il loro personaggio e sembrano dimenticarsi che se sono famosi lo sono solo grazie a quello (e l’arte di sputare nel piatto dove si è mangiato non porta solitamente molto lontano).
“Volevo essere un duro” è la rivincita di un ragazzo che nella sua vita di pressioni machiste, e probabilmente anche omofobe, ne ha subite parecchie. Eppure Lucio Corsi non si gioca la carta del vittimismo, una carta che oggi funziona parecchio per attirare consenso popolare, bensì preferisce utilizzare l’autoironia, uno strumento comunicativo e artistico ben più sofisticato e potente.
“Non ho mai perso tempo, lui mi ha lasciato indietro”
Un passaggio in particolare mi ha colpito del suo testo: “Ma non ho mai perso tempo, è lui che mi ha lasciato indietro”. Ecco, dentro a queste semplici parole possiamo scorgere un intero mondo, un mondo fatto di ansia del tempo perso e di paura di non reggere le aspettative. Un mondo che riguarda sempre più giovani, che tendono infatti a scappare da questa corsa al successo a tutti i costi. Ne hanno talmente ribrezzo e paura che arrivano talvolta perfino a rinchiudersi nelle proprie camere da letto, come nel caso degli hikikomori, ossia i ritirati sociali volontari.
“Perché in fondo è inutile fuggire dalle tue paure”, recita il testo nel finale. E Lucio Corsi le sue paure le ha affrontate, la sua strada l’ha trovata, se l’è guadagnata, con il suo stile, ma anche e soprattutto con il suo tempo, perché un successo che arriva a 31 anni oggi è considerato un successo tardivo nell’industria musicale e nella società moderna. Nell’era delle baby star alla Justin Bieber, o dei nostrani Benji e Fede, che bruciano in fretta, i trentenni sono già considerati vecchi. Nell’era della musica di plastica creata a tavolino e scritta sempre dagli stessi autori, dove ciò che si chiede ai cantanti, sempre meno artisti e sempre più performer, è esclusivamente quello di essere belli e di costruire un personaggio vendibile (se poi sono anche intonati tanto meglio), Lucio Corsi rappresenta una ventata di freschezza, originalità e autenticità.
I giovani hanno bisogno di modelli maschili come il suo. Dobbiamo solo sperare che il successo che gli arriverà da questo Festival non andrà a fagocitarne i tratti essenziali, quelli che lo rendono davvero speciale.
Fonte : Today