Il caso Paragon assume sempre più le tinte del giallo, con il governo Meloni che – tramite il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani -, annuncia addirittura querele a chi insinua che l’esecutivo abbia utilizzato corpi dello Stato per spiare attivisti delle ong come Luca Casarini e il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato, che con il suo giornale ha pubblicato inchieste scomode per il partito della presidente del Consiglio.
Le mezze risposte di Ciriani e i silenzi di Meloni, Nordio e Piantedosi
Ciriani, che è intervenuto alla Camera per rispondere alle interrogazioni presentate dalle opposizioni, ha rappresentato il governo sollevando dall’incombenza le tre figure chiave per chiarire la vicenda, che si sono di fatto sottratte alle domande: la presidente del Consiglio e i ministri dell’Interno e della Giustizia, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio.
Nel suo intervento, l’esponente dell’esecutivo ha smentito solo in parte la notizia riportata dal Guardian e confermata dal quotidiano israeliano Haaretz della rescissione del contratto con i clienti italiani: “Nessuno ha rescisso in questi giorni alcun contratto nei confronti dell’intelligence. Tutti i sistemi sono stati e sono pienamente operativi contro chi attenta agli interessi e alla sicurezza della nazione”, ha detto. In pratica Ciriani ha svelato che l’intelligence non è stata disconnessa dal software Graphite (usato per spiare i telefonini degli ignari utenti), senza però rivelare quali sono i clienti di Paragon Solutions bloccati per “violazione delle norme di utilizzo”. E lasciando, quindi, ancora aperto il grande interrogativo: c’è qualcuno che spia semplici cittadini per motivi politici? Perché in politica non contano solo le affermazioni: conta anche quello che non si dice. E se è vero che i Servizi continuano a usare il programma, il perimetro dell’affermazione è troppo limitato per chiarire i dubbi. Anzi.
Borghi (Copasir): “I due contratti interrotti non riguardano l’intelligence”
“Qui contano più i silenzi che non le cose dette”, spiega a Wired il senatore di Italia Viva e membro del Copasir (il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) Enrico Borghi, che ha firmato una delle interrogazioni presentate nei giorni scorsi. “Il software di cui parliamo – ricorda – è utilizzato da corpi militari per spiare i telefoni di soggetti ritenuti molto pericolosi. Abbiamo avuto la conferma che questa applicazione è fornita a un’agenzia di intelligence, ma sappiamo che i due contratti che sono stati interrotti non riguardano l’intelligence. Quello che non ci dicono, allora, è chi è che lo utilizza in altri corpi dello Stato: sono passati molti giorni da quando è esploso il caso, e il ministro dell’Interno non ci ha ancora detto se è la polizia a impiegare quel software. Il ministro della Difesa non ci ha detto se lo utilizzano i carabinieri, il ministro della Giustizia non ci ha detto se lo utilizza la polizia penitenziaria o le procure, il ministro dell’Economia non ci ha detto se lo utilizza la guardia di finanza”.
L’ipotesi di una rete di spionaggio internazionale
Il caso Paragon tocca l’Italia per almeno sei casi accertati. Gli spiati che violerebbero le regole di ingaggio sono in tutto novanta, di cui 61 in quattordici paesi dell’Unione europea. Una delle ipotesi è che esista una rete internazionale di spionaggio in qualche modo collegata a dei governi occidentali, una sorta di rete di strutture parallele ai servizi segreti ma non ufficiali, che in qualche modo fornirebbero informazioni sensibili su alcuni soggetti. Lo stesso Enrico Borghi, nella sua interrogazione parlamentare, si chiede se ci siano connessioni tra questo caso e alcune attività di spionaggio private a Milano e a Roma, conosciute come Equalize e Squadra Fiore, al centro di inchieste giornalistiche e giudiziarie.
Fonte : Wired