Donald Trump torna all’attacco contro le politiche ambientali e lo fa come suo solito in maniera plateale e provocatoria. Lunedì scorso, con un ordine esecutivo, il neoeletto presidente ha incentivato l’acquisto e l’utilizzo delle cannucce di plastica negli Stati Uniti, invertendo una tendenza globale verso una riduzione della plastica monouso promossa dal suo predecessore, Joe Biden.
“Torneremo alle cannucce di plastica”, ha detto con entusiasmo mentre firmava il provvedimento alla Casa Bianca. Secondo Trump, infatti, le alternative in carta “non funzionano” e addirittura “si disintegrano” prima ancora che si possa finire di bere.
A chi gli ha fatto notare l’impatto ambientale della plastica sugli ecosistemi la biodiversità marini, Trump ha risposto con una battuta delle sue: “Non credo che la plastica influisca molto sugli squali che si fanno strada mangiando nell’oceano”. Una battuta che ha fatto sorridere alcuni, ma solo fino a quando non si analizzano decenni di dati reali e studi sull’impatto devastante della plastica sugli animali marini e non solo.
La plastica non si dissolve, ma gli ecosistemi e la biodiversità sì
La plastica ha certamente rivoluzionato il mondo moderno e migliorato le nostre vite, trovando applicazioni in tutti i campi della società, dalla medicina all’industria, passando per la vita di tutti i giorni. Tuttavia, il suo più grande pregio e vantaggio – la durabilità – è anche il suo peggior difetto: la plastica non si degrada nell’ambiente, o meglio, impiega centinaia, se non migliaia di anni per farlo. A differenza di materiali organici che si decompongono ed entrano nei cicli natural della materia organica, la plastica si accumula e si diffonde ovunque, dai fondali marini alle cime delle montagne.
Ma è soprattutto nei mari e negli oceani che il problema diventa più visibile e devastante. Una volta entrata in mare, la plastica non ha più confini: viene trasportata dalle correnti fino agli angoli più remoti degli oceani del pianeta, si accumula in enormi isole di rifiuti galleggianti (come la grande chiazza di immondizia del Pacifico), si incastra tra le rocce e gli scogli delle coste e finisce per accumularsi sulle spiagge di tutto il mondo. Ma il vero dramma arriva quando la plastica si frammenta in microplastiche, pezzi minuscoli che diventano impossibili da rimuovere e che entrano nella catena alimentare marina.
L’impatto della plastica sulla biodiversità marina: milioni di animali muoiono ogni anno
Trump ironizza sugli squali, ma la realtà è che la plastica colpisce tutti, dai più piccoli invertebrati marini fino ai grandi predatori al vertice delle catene alimentari. Si stima per esempio che ogni anno muoiano oltre 100.000 mammiferi marini a causa dell’inquinamento da plastica, ma il problema coinvolge ogni livello della piramide trofica marina. Le tartarughe marine confondono i sacchetti di plastica con le meduse, tra le loro prede preferite. Ingerendoli, si sentono sazie e poi muoiono di fame. Tutte le sette specie di tartarughe marine analizzate in uno studio di qualche anno fa presentavano microplastiche nel tratto digerente.
Gli animali più grandi, come balene, delfini e squali, sono inoltre vittime delle cosiddette “ghost nets”, ovvero le reti da pesca abbandonate fatte di plastica, che intrappolano gli animali fino a provocarne la morte. Ogni anno, circa 300.000 cetacei muoiono impigliati in queste trappole di plastica. Anche gli uccelli marini sono tra le vittime principali della plastica in mare: scambiano i frammenti di plastica per piccoli pesci e plancton, inghiottendoli e morendo di soffocamento o malnutrizione.
Si stima che più di un milione di uccelli marini muore ogni anno per aver ingerito plastica, senza contare quelli che utilizzano rifiuti per costruire nidi che si trasformano spesso in trappole. Alcune specie, come albatros e berte, alimentano i proprio piccoli con plastica raccolta in mare, causandone involontariamente la morte. Negli anni 60, meno del 5% degli uccelli veniva trovato con plastica nello stomaco. Vent’anni dopo, oltre l’80% degli animali analizzati aveva plastica nel proprio stomaco. Di questo passo, si prevede che entro il 2050, il 99% delle specie di uccelli marini ingerirà regolarmente plastica.
Microplastiche e tossine: il veleno invisibile che arriva fino a noi
Il problema non si ferma agli animali marini: attraverso il fenomeno del bioaccumulo, le tossine presenti nella plastica finiscono nei tessuti degli animali e risalgono la catena alimentare fino a noi. Anche i pesci, infatti, ingeriscono plastiche e microplastiche scambiandole per cibo, con effetti che si propagano risalendo tutta la catena alimentare. In una review che ha messo insieme oltre 100 studi su pesci e ingestione di plastica ha dimostrato che tra le 500 specie analizzate, oltre due terzi avevano consumato plastica. Naturalmente, gli animali che mangiano i pesci ingeriscono anche la plastica che si è accumulata nei loro tessuti.
Le specie più colpite sono i cosiddetti predatori apicali, ovvero animali al vertice della catena alimentare che mangiano altre specie che hanno mangiato direttamente o indirettamente plastica. Tra questi ci sono i grandi predatori, come delfini, orche e i tanto “amati” squali citati proprio da Trump. Nei tessuti di questi animali, per via del bioaccumulo, si concentrano grandi quantità di microplastiche e sostanze tossiche. Le orche, in particolare, mostrano livelli record di inquinanti nei loro tessuti grassi e persino nel latte con cui nutrono i loro piccoli. E quale altro predatore mangia animali marini che ingeriscono plastica? Proprio noi esseri umani: anche nel nostro corpo è presente plastica attraverso il bioaccumulo.
Dobbiamo davvero tornare alle cannucce di plastica?
Trump può ridere e scherzare sull’inquinamento da plastica, ma gli effetti reali sono devastanti e sotto gli occhi di tutti. Esiste ormai una letteratura scientifica sconfinata sull’impatto della plastica sulla biodiversità, gli ecosistemi marini e persino sulla nostra salute. Ridurre la plastica, in particolare sostituendo quella monouso con materiali più sostenibili, non è quindi una moda o una scelta imposta da fantomatiche “lobby green”. Si tratta di una necessità a cui non possiamo più fare a meno, sia per proteggere gli oceani e la vita che li popola, che per tutelare la nostra stessa salute.
Tornare clamorosamente così indietro nelle scelte ambientali significa ignorare decenni di ricerche ed evidenze scientifiche, ignorare gli animali che ogni giorno muoiono soffocati, intossicati o intrappolati nei nostri rifiuti, e ignorare il fatto che la plastica che finisce in mare prima o poi torna da noi attraverso il cibo che mangiamo. Probabilmente il presidente degli Stati Uniti dovrebbe riflettere qualche secondo in più prima di firmare ordini esecutivi che promuovono e incoraggiano l’utilizzo di materiali danno per tutti. E magari, la prossima volta, invece di preoccuparsi delle cannucce di carta che si sciolgono, dovrebbe pensare a quanta plastica riversiamo ogni giorno negli oceani e quella che si accumula persino nel nostro cervello.
Fonte : Fanpage