Occhi sottomarini
Lo strumento con cui è stato individuato il neutrino cosmico fa parte dell’infrastruttura KM3NeT, una sorta di insieme di “telescopi” situati in profondità nel mar Mediterraneo e composti da due array di rilevatori, Arca e Orca, entrambi specializzati nello studio dei neutrini. Il secondo, non coinvolto nella scoperta, è ottimizzato per individuare le cosiddette “oscillazioni” dei neutrini, ossia il fenomeno con cui i neutrini di un certo tipo si trasformano in neutrini di un altro tipo (esistono infatti tre tipi, o meglio “sapori”, di neutrino: elettronico, muonico e tauonico, associati ai nomi delle tre particelle che vengono prodotte quando interagiscono con la materia – elettrone, muone e tauone), e si trova a 2450 metri di profondità al largo di Tolone, in Francia. Arca, come già detto, è ottimizzato per lo studio dei neutrini cosmici ad altissima energia e si trova al largo di Capo Passero, in Sicilia. I suoi rivelatori sono costituiti da linee verticali di sensori ottici che registrano un tipo particolare di luce (la cosiddetta luce Čerenkov) emessa dalle particelle cariche che li attraversano.
La scoperta
“Il 13 febbraio del 2023 – ci racconta Carla Distefano, prima ricercatrice ai Laboratori Nazionali del Sud dell’Infn – i rivelatori di Arca hanno osservato la traccia di un muone che viaggiava in direzione orizzontale, e che ha generato un’enorme quantità di segnali luminosi. Abbiamo misurato l’energia del muone in circa 120 PeV: supponendo – come crediamo – che sia associato a un neutrino muonico, abbiamo stimato l’energia di questo neutrino ad almeno 220 PeV”. L’evento, denominato KM3-230213A, è stato così potente da generare segnali in più di un terzo dei sensori attivi. Naturalmente, affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie: “Prima di dirci certi che si trattasse di un neutrino cosmico” sottolinea Distefano “abbiamo lavorato a lungo per escludere tutte le altre possibilità. Effettivamente, dalle nostre analisi risulta molto improbabile che sia un neutrino atmosferico: si tratta certamente di un neutrino cosmico, con ogni probabilità un neutrino muonico. Esiste anche la possibilità che sia un neutrino tauonico, ma la probabilità è molto inferiore”. Le prove più convincenti della natura del segnale sono l’inclinazione della traiettoria e l’elevatissima energia, che suggeriscono che il muone sia stato generato da un neutrino cosmico interagente nelle vicinanze del rivelatore. “L’orizzontalità della traccia – continua Distefano – è un aspetto molto interessante, perché coerente con quello che ci aspettiamo dalla teoria, e indica che il neutrino è arrivato dall’orizzonte e ha raggiunto i rivelatori”. Cosa ancora più interessante, il segnale è stato catturato in un momento in cui la configurazione dello strumento è appena a un decimo delle sue potenzialità, il che rimarca l’enorme potenziale dell’esperimento.
Cosa lo ha prodotto, e dove
Al momento, l’origine esatta del neutrino cosmico è ancora incerta, ma i ricercatori hanno avanzato alcune possibili spiegazioni. “Ci siamo subito chiesti – dice Distefano – quale potesse essere l’origine di questo neutrino. Al momento non c’è una teoria ‘certa’ sulle sorgenti dei neutrini cosmici: conosciamo diverse sorgenti ‘candidate’ alla loro produzione, che sostanzialmente si comportano come enormi e potentissimi acceleratori di particelle. Si tratta sostanzialmente di nuclei galattici attivi, lampi gamma, supernovae. Abbiamo scandagliato la porzione di cielo dalla quale proviene il neutrino e cercato negli archivi storici possibili eventi transienti, trovando una decina di nuclei galattici attivi compatibili, almeno a livello teorico, con la produzione del neutrino. Tutto questo suggerisce, con ogni probabilità, che questo neutrino sia arrivato a noi partendo dall’esterno della nostra galassia. In alternativa, potrebbe trattarsi del primo esempio di neutrino cosmogenico: sarebbe molto interessante, perché le caratteristiche dei neutrini cosmogenici dipendono da parametri fisici che ancora non conosciamo bene. Caratterizzando questo tipo di neutrini (quando ne riveleremo degli altri, naturalmente) potremo cominciare a studiare questi parametri”. Per sciogliere i dubbi, dunque, saranno necessarie ulteriori osservazioni di eventi simili, il che potrà avvenire, auspicabilmente, con i futuri ampliamenti del rivelatore con nuove unità e con l’acquisizione di nuovi dati.
Fonte : Wired