Alla fine il Festival di Sanremo è come una partita di calcio: ci sono dei favoriti – spesso in base al curriculum, alla gente disposta a votarli e alle sensazioni della stampa agli ascolti – e alcuni schemi per vincere, ma in cinque puntate entrano in ballo talmente tanti fattori che, davvero, può cambiare tutto. Perché l’Ariston, prima che un teatro, è un palco televisivo dove la resa che un brano può avere in radio o su disco non è la stessa che ha in scena, con il cantante in carne e ossa canta a decine di telecamere, rigorosamente dal vivo e con l’orchestra (perfino l’arrangiamento, a volte, cambia). E poi la presenza del pubblico, l’ansia di rompere il ghiaccio, il semplice mestiere che aiuta i più scafati e tradisce chi partecipa per la prima volta o non è così padrone del mezzo. Si è visto anche in questa prima serata del 2025, dove le premesse della vigilia sono, in parte, saltate.
I nuovi favoriti
Partiamo, però, dalle certezze: Giorgia, in cima alle classifiche di gradimento da settimane, è uscita meglio di tutti. E grazie, direte voi: ha stile e carisma, conosce pure le macchie sulle pareti dei camerini del teatro per quante volte c’è stata e in più ha una voce che tanti colleghi si sognano; è sembrata a suo agio, impeccabile e magnetica, tanto più dopo una sfilza di concorrenti che hanno steccato e l’hanno, a loro volta, valorizzata. Ma la strada è lunga, perché La cura per me non ha le vibes da vincitrice annunciata già di Due vite di Marco Mengoni e Brividi di Mahmood e Blanco (che hanno firmato anche il suo brano). Si vedrà. Invece non riceverà premi – anche perché quello della Critica l’ha preso due anni fa – Massimo Ranieri, però, anche qui, che dominanza sul palco. L’esperienza paga, sempre.
A proposito. Sarà che sono al terzo Sanremo, ma crescono, e anche parecchio, i Coma Cose, che per valorizzare la cassa dritta di Cuoricini si inventano un balletto che sembra un incrocio tra i Ricchi e Poveri e una versione cyber-punk di quelli che trovate su TikTok, e che in un contesto del genere è una svolta. Non si sono neanche pestati i piedi, in termini di esibizioni, con le precedenti L’addio e Fiamme negli occhi, per cui ben venga. Anche Olly, pur con una canzone che forse soffre il gap generazionale, dal vivo impatta di più che su disco. E bene Clara, maggiormente sciolta della scorsa edizione, dov’era un po’ ingessata, segno che sta prendendo confidenza con il palco e che il tour dello scorso autunno le è servito.
Spicca, poi, Cristicchi, con quel tono da cantastorie tagliato perfettamente per la tv, mentre è meno incisivo, forse, Brunori Sas, che mette in scena auto-ironia (l’unico!) e leggerezza, oltre a un vestito incredibilmente sobrio, ma non sempre sono le armi giuste, qui. Lucio Corsi, piuttosto, si conferma un alieno tra trucco, abito glam e presenza scenica affinata in anni di live, ma la sensazione è che possa fare ancor di più. Precisa anche Elodie, ormai maturata come popstar, anche se Dimenticarsi alle 7 ha bisogno di vari ascolti per imporsi e a Sanremo non è sempre una buona idea. Vincenti, infine, la naturalezza di Francesca Michielin e la classe di Joan Thiele (e che bella chitarra), mentre il resto del cast invece è filato via senza sussulti, inghiottito dai ritmi da catena di montaggio dello show, senza cadute di stile me senza neanche lasciare il segno. La notizia è che questo discorso riguarda anche Fedez, con un’esibizione pulita ma abbastanza trasparente. Chissà.
Quelli da rivedere
Alla prova del palco deludono, invece, due tra i protagonisti più chiacchierati del Festival. Achille Lauro per la prima volta è tra i papabili vincitori, Incoscienti giovani è tra i suoi pezzi più sanremesi e meglio scritti, ma la sensazione è che abbia un po’ camminato sulle uova, forse preso dall’ansia di non strafare o di bruciarsi un’occasione così ghiotta: quando non aveva niente da perdere, come con Rolls Royce, era più sfacciato, ora è sembrato con il freno a mano tirato, specie nell’interpretazione. È probabile che si riprenderà già dalla seconda volta, e che arriverà fino in fondo. Tradisce, invece, la resa dal vivo di Damme ‘na mano di Tony Effe, che in studio – e anche a livello d’immaginario, atmosfera, testo – ha un enorme potenziale, ma resta un genere che al protagonista chiede soluzioni assai diverse da quelle a cui è abituato (per esempio, qui, c’è un ritornello cantato) e che dal vivo, vuoi per una forma di disagio, non lo valorizzano troppo. Ma ci sarà tempo, anche qui, di rifarsi.
Fonte : Today