“Resisteremo, questa è casa nostra”: la risposta a Trump di Yasser, insegnante di lingua dei segni a Gaza

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Ha perso la sua casa e la sua famiglia è stata decimata dall’esercito israeliano. Eppure Yasser, insegnante di lingua dei segni per i sordi di Gaza, non ha dubbi: “Dobbiamo resistere, anche se sopravvivere è quasi impossibile”.

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“(…) Ho rivisto me stesso dalla nascita fino adesso/ e nella disperazione ho ricordato / che c’è vita dopo la morte / ed io non ho problemi. Ma chiedo: / Oh Dio! / C’è vita prima della morte?“.

Sono gli ultimi versi della poesia “Non ho problemi” di Mourid Barghouti pubblicata nell’antologia di composizioni palestinesi “In un mondo senza cielo” (Giunti). Rileggo quelle parole mentre mi scorrono davanti agli occhi le ultime dichiarazioni di Donald Trump su Gaza. Il presidente americano ha appena detto che gli USA prenderanno il controllo della Striscia, ne diventeranno i padroni, spianeranno le macerie delle case e dei palazzi e sui resti di decine di migliaia di cadaveri costruiranno un bel lungomare, “la Costa Azzurra del Medio Oriente”. E i suoi milioni di abitanti ancora in vita? Che ne sarà di loro? Facile: il capo della Casa Bianca sostiene che potranno recarsi un qualche altro posto, “buono, fresco e bello”, magari in Giordania o in Egitto. E comunque sono affari loro.

Tra quei “loro” c’è Yasser (nome di fantasia): ha 45 anni e a Gaza lavora come interprete della lingua dei segni per i non udenti della Striscia, quelli che hanno vissuto gli ultimi 16 mesi come protagonisti di un film muto. Per Yasser la guerra non è iniziata il 7 ottobre 2023 ma molto prima: era il 9 maggio quando la sua casa venne bombardata dall’aviazione israeliana. I suoi sette vicini morirono, lui rimase ferito e si trasferì in un’altra casa, nuovamente colpita il 12 ottobre. “Io e la mia famiglia siamo sopravvissuti di nuovo e ci siamo spostati a sud, prima a Rafah, poi a Khan Yunis, poi di nuovo a Rafah. Qui, ho vissuto in più di tre abitazioni diverse. Ora mi trovo nel centro della Striscia, in una tenda. Si congela per il freddo e vi piove dentro. Non c’è gas per cucinare, quindi facciamo affidamento sulla legna da ardere, che le persone raccolgono dalle case bombardate e vendono a prezzi carissimi. Per mangiare dipendiamo dagli aiuti dell’UNRWA e dalle cucine comunitarie che forniscono pasti caldi. Non c’è elettricità e dobbiamo andare a prendere acqua ogni giorno, ma non è mai sufficiente a soddisfare le esigenze della mia famiglia”.

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Yasser, che ha bisogno di cure mediche quotidiane a causa di una seria malattia ormonale, racconta che la sua famiglia è stata decimata: “Qui la morte è ovunque. Mio padre, che aveva 83 anni, sua moglie e mia sorella di 10 anni sono stati uccisi a Khan Yunis. I medici hanno confermato che sono stati giustiziati a bruciapelo: mio padre è stato colpito alla testa due volte, sua moglie stava tenendo mia sorella tra le braccia quando sono stati colpiti. È stato straziante. Non possiamo nemmeno immaginare la paura e il terrore che mia sorella, Noor, ha provato in quegli ultimi suoi momenti di vita”.

Da quando il 19 gennaio scorso è iniziato il cessate il fuoco i raid aerei dell’aviazione israeliana sono drasticamente diminuiti e sono arrivate scorte di cibo e farmaci, spesso venduti al mercato nero. Sopravvivere però rimane quasi impossibile a causa della fame e delle malattie, mentre si addensa sulla vita di Yasser, della sua famiglia e di milioni di palestinesi una nube nera, la minaccia – evocata ancora una volta da Trump – di una fine della tregua se i miliziani di Hamas sabato non riconsegneranno a Israele gli ostaggi. “Si scatenerà l’inferno”, ha detto, applaudito dai maggiorenti del governo di Benjamin Netanyahu.

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Yasser non perde la calma neppure quando gli domando cosa pensi del piano di deportazione ripetutamente evocato dal presidente americano: “Non credo che accadrà, sono minacce che lancia da quando ha assunto l’incarico, si tratterebbe di un processo estremamente complesso: come si può pensare di deportare due milioni di persone dalla loro terra?”. Tuttavia nessuno può davvero prevedere cosa accadrà. “La vita a Gaza è quasi impossibile e se gli aiuti verranno tagliati, la gente di Gaza non avrà molte alternative. Alcuni potrebbero decidere di andarsene, mentre altri insisteranno per restare e combatteranno per la loro terra fino alla morte“.

Il sospetto è che a Donald Trump non interessi granché della salvezza dei gazawi, ma che voglia solo accelerare il progetto coloniale di Israele, in corso già da molti anni: “La presenza e il predominio dell’estrema destra nel governo israeliano hanno rivelato le vere intenzioni di quel Paese nella regione. Il prolungamento della guerra è stato coordinato con Trump, e non escludo che il conflitto possa estendersi anche ai territori occupati“. “Non abbiamo altra scelta: Gaza e la Cisgiordania devono resistere”, conclude Yasser.

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Fonte : Fanpage