Sanremo, il meglio e il peggio della prima serata: menomale che Gerry c’è

È ufficialmente il Festival dei cuoricini, quello che segna il ritorno di Carlo Conti a Sanremo. E non solo perché questo è il titolo del tormentone con cui sono in gara quei simpatici ruffiani dei Coma Cose. Ma perché tornano protagoniste le canzoni d’amore, lasciando la critica sociale alla digeribilissima “Grazie ma no grazie” di Willy Pejote (“C’è chi ha perso la memoria e vorrebbe che tornasse, come se non bastasse”, canta nel picco di massima corrosività). Innocenti ma potenti evasioni dal tema solo con Fedez, che parla di depressione, con Simone Cristicchi, commosso nel raccontare la malattia della mamma e con Lucio Corsi, che firma una specie di vita da mediano in delicata chiave cantautoriale. Ieri la prima serata, con Conti chiamato alla sfida di subentrare alle tre fortunatissime edizioni targate Amadeus. “Ma è calmissimo, ci mette a nostro agio”, dicono di lui i collaboratori presenti dietro le quinte. Aboliti i monologhi dolenti (grazie, Carlo), il cerimoniale contiano è scandito dalla sua rassicurante conduzione.

Menomale che Gerry c’è 

Il protocollo Conti è così puntuale che il ruolo di mina vagante spetta a Scotti. Promosso a pieni voti, il co conduttore è sciolto come fosse in una qualsiasi puntata di “Caduta Libera”. E si prende subito il palco. Parte facendo un po’ di cat-calling ad Antonella Clerici, quando quest’ultima scende le scale fasciata da uno strizzatissimo abito d’argento, poi rimprovera Rkomi che arriva sul palco a petto nudo: “Metti la maglietta della salute, altrimenti ti viene lo squaraus”, dice con una scivolata milanese che fa subito Cologno Monzese. Infine corre ad abbracciare Elodie: “Ho fatto una scommessa al bar”, grida portando sul palco un po’ di bonario machismo. Avremmo però voluto vedere sul palco un omaggio al suo primo grande amore: la radio. Una occasione persa, peccato.

Antonella Clerici sa di sugo, per fortuna 

Fasciata in un abito tempestato di paillettes d’argento, col décolleté compresso in maniera claustrofobica, Antonella Clerici sembra uscita dal cartone dei Jetson. La sua conduzione familiare è una certezza: una coccola per il pubblico. Si commuove nel ricordo di Fabrizio Frizzi, grande amico. Poi tira una frecciata a Ligabue: “Visto che dicono che so di sugo, ho portato due trofie”, esclama entrando con un piatto di pasta in mano. Il riferimento è a una vecchia polemica col cantautore di Correggio. Verace, ci piace. 

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Un festival benedetto dal Papa

Noa e Mira Awad, artiste israeliana e palestinese, cantano “Imagine” per la pace. Il Papa si unisce all’appello, inviando un video-messaggio a sorpresa. È la prima volta nella storia che appare a Sanremo (e non c’è neanche Fabio Fazio nei paraggi). Elettrizzante è invece la messa che recita fuori dall’Ariston Jovanotti: riempie la piazza antistante il teatro con una banda che suona i suoi successi più grandi. Uno spettacolo per gli occhi.

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Standing ovation per Cristicchi, Coma Cose simpatici ruffiani

Musicalmente la serata si apre con una altalena emotiva. I Coma Cose prendono di mira i social network nella canzone Cuoricini: “Cuoricini anche se crolla il mondo, un divano e un telefono sono la tomba dell’amore”, cantano. Sarà il tormentone che sentirete domani al bar, ma la critica sociale è un po’ ruffiana nella sua retorica. È un po’ un controsenso criticare i social cercando la viralità. 

Ma adesso basta ridere. Sul palco arriva Simone Cristicchi, che torna quindici anni dopo “Ti regalerò una rosa” per lasciare di nuovo il segno: standing ovation per la sua “Quando sarai piccola”, dedicata alla mamma malata. Per intenderci: “Quando sarai piccola ti aiuterò a capire chi sei/ Ti starò vicino come non ho fatto mai/ Rallenteremo il passo se camminerò veloce/ Parlerò al posto tuo se ti si ferma la voce/Giocheremo a ricordare quanti figli hai/ Che sei nata il 20 marzo del ’46/ Se ti chiederai il perché di quell’anello al dito/Ti dirò di mio padre ovvero tuo marito”. 

Sanremo, standing ovation per Simone Cristicchi: il video per rivedere l’esibizione

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Il Festival dei cuoricini tristi. Tutti piangono un amore, nessuno lo celebra 

Ma il leit motiv di questo festival sono i cuori infranti. Infranto è il cuore di Achille Lauro, qui al culmine della sua rinascita: dopo anni in cui il suo personaggio sembrava un tantino sovraesposto, si è preso una pausa ed è ora tornato con un credibilissimo rilancio. Prima “X Factor”, poi il successo di “Amore disperato”. Altrettanto disperata è “Incoscienti giovani”, struggente con la sua voce sabbiosa e la malinconia del sax finale. Tormentato dall’amore è anche Olly, favorito al podio nonché cavallo su cui punta quest’anno la scuderia de La Tharma (non un management qualsiasi, se si pensa che è la stessa che negli ultimi anni ha portato qui i vincitori Angelina, Marco Mengoni e i Maneskin). La voce di Giorgia è valorizzata dalla canzone scritta da Blanco. Blanco firma anche il brano di Noemi, insieme a Mahmood e Michelangelo. Lucio Corsi e Brunori sono gli unici che si scrivono la canzone da soli. Serena Brancale è un’artista: canta in dialetto pugliese, suona, porta la sua personalità istrionica sul palco. E’ l’unica a portare una canzone d’amore allegra, che fa venire voglia di innamorarsi. Ciò che resta del rap è invece nelle mani di Shablo feat Gue, Joshua e Tormento.

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Fedez ha una bella canzone, nonostante tutto 

Passiamo al capitolo Fedez. E qui serve una premessa. C’è infatti sempre una dicotomia che ci anima nel giudicare il rapper. Da una parte una tenerezza materna nel vederlo così agitato alla prova del palco, così sudato e tremante mentre tiene il microfono in mano. Dall’altra la spietatezza nel giudizio inevitabile se si pensa alla altrettanto spietata macchina che è capace di mettere in piedi per attirare su di sé l’attenzione mediatica: le sue malefatte, raccontate da Fabrizio Corona, hanno monopolizzato l’attenzione delle settimane pre-festival. Usciamo dunque da cul-de-sac tornando alla canzone, perché in fondo siamo a Sanremo: il tema della salute mentale è ormai mediaticamente obsoleto, forse fuori tempo massimo, ma il brano è ben scritto e ben arrangiato. In molti possono trovarci conforto. E questo conta. Vocalmente è tra i pochi ad abusare ancora dell’autotune, le parole sono masticate. Esce dal palco facendo un sospiro di sollievo. 

Tony Effe lo stornellatore coatto 

Tony Effe sul palco in stile Mannarino, con uno stornello romanesco rivisitato in una digeribile chiave pop. Lo smocking bianco è invece un omaggio a una altrettanto potente tradizione romana: l’anima coatta. Nel testo “ama solo la madre Annarita”, piange “per una donna crudele”. “Mi alzi le mani poi ti vuoi scusare”, dice. Insomma, se non l’avete capito: è qui per farvi dimenticare le polemiche sui brani sessisti. 

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Marcella Bella cartoon, il ritornello più cringe è di Rose Villain

Rimandata a settembre Gaia: qui chiamata alla prova da showgirl da prima serata, è ingessata dall’emozione. C’è da capirla: a lei l’onere di aprire la serata. Al momento il twerk sciolto di Sesso e samba è solo un ricordo, ma la voce c’è. Vince il premio del ritornello più cringe Rose Villain: “Se pensarti fosse un crimine, io sarei fuorilegge”. Rimandata a data da destinarsi Marcella Bella, che improvvisa un brano femminista: “Forte, tosta, indipendente. Non mi tocca niente”, grida sul palco. Ci crede, ma il risultato ha i toni parodistici: sembra la sigla di un cartone animato con protagonista una inflessibile super-eroina. 
 

Fonte : Today