Come il governo Meloni vuole trasformare i centri in Albania in Cpr (ma pesano costi e norme)

Prende sempre più quota l’idea di trasformare le strutture di Gjader e Shengjin in Cpr, cioè centri per il rimpatrio di permanenza. Il governo Meloni ci sta ragionando: l’obiettivo è quello di trovare una soluzione per salvare l'”operazione Albania” e il protocollo siglato con Tirana il 6 novembre 2023. Ieri, lunedì 10 febbraio, a Palazzo Chigi si è svolta una nuova riunione a livello di uffici legislativi. Un incontro interlocutorio e centrato su alcuni aspetti tecnici, arrivato a pochi giorni di distanza dal vertice politico tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano.

L’ipotesi di un decreto

Tra le ipotesi al vaglio vi è quella di intervenire con un decreto ad hoc, anche se al momento non sono in programma sedute del Consiglio dei ministri per esaminare il dossier migranti. L’esecutivo vuole superare lo stallo e rivedere il funzionamento dei centri rimasti vuoti dopo le varie sentenze dei giudici sui trattenimenti. Ieri il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha spiegato che il governo intende andare avanti: “Non lasceremo il lavoro in Albania”.  

E tra le idee su cui si sta ragionando vi è quella di utilizzare le due strutture per accogliere i migranti irregolari presenti nel nostro paese e in attesa di espulsione. Inoltre si starebbe valutando la possibilità di togliere la giurisdizione italiana sui centri, la cui gestione passerebbe da Tirana e non più da Roma. Il governo deve prestare poi attenzione a un ulteriore aspetto: i costi. Secondo La Stampa per le ristrutturazioni dei centri servirebbero ulteriori risorse: si parla di milioni di euro. Quello italiano sarebbe il primo centro per il rimpatrio realizzato fuori dai confini europei. 

I problemi di Edi Rama 

Tuttavia le possibili novità sui centri in Albania potrebbero dover essere accompagnate da alcune modifiche al protocollo siglato con Edi Rama, recepito dal Parlamento italiano con l’ok a un disegno di legge di ratifica. Nei prossimi mesi il primo ministro albanese sarà impegnato con la campagna elettorale. Domenica 11 maggio si voterà nel paese balcanico e gli oppositori di Rama stanno già attaccando il trattato siglato con Meloni. Un eventuale cambio di maggioranza a Tirana potrebbe mettere in discussione l’intera “operazione Albania”. Rama si trova in una posizione scivolosa: ogni eventuale cambiamento ai contenuti del protocollo potrebbe pesare sulla sua carriera politica. 

Opposizioni all’attacco: “Progetto Albania è fallito” 

“Dopo la presa in giro del blocco navale, si va ora verso l’addio alla propaganda sui migranti che sbarcano in Albania anziché in Italia, addio a fantomatici effetti deterrenti sulle partenze”, ha scritto sui social il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte. “Di vero c’è solo 1 miliardo fra realizzazione, agenti di polizia e spese per tenerli in piedi, il gioco dell’oca su enormi navi per qualche decina di migranti mentre ne sbarcavano migliaia (col picco di +135% a gennaio). Nemmeno della guerra alle ‘mafie del mare’ annunciata da Meloni resta alcuna traccia: il Governo i criminali li mette sui voli di Stato”, ha spiegato Conte.

“L’ipotesi di un decreto che trasformi le strutture in Albania in centri per il rimpatrio, variando la loro destinazione d’uso, è aberrante”, ha affermato invece Filiberto Zaratti, capogruppo di Alleanza verdi e sinistra in commissione Affari costituzionali alla Camera. “A questo punto è chiara solo una cosa: Palazzo Chigi si è messo con le proprie mani in un cul de sac”, ha aggiunto Zaratti. 
 

Fonte : Today