Solo nel 2024, per finanziare progetti dedicati alla ricerca sul tumore dell’ovaio, Fondazione Airc ha destinato quasi 4 milioni di euro, arrivando a superare i 17.400.000 euro nell’ultimo quinquennio. Attualmente è allo studio un metodo per la diagnosi precoce, basato sull’analisi di specifici marcatori di instabilità genomica che si possono trovare nei campioni raccolti per il pap-test.
Si stanno inoltre valutando nuovi farmaci anche immunoterapici che possano agire in maniera mirata e in combinazione con terapie standard. Altre ricerche in corso riguardano lo sviluppo di terapie innovative che usano rispettivamente i linfociti T delle pazienti o le cellule Natural Killer di donatori sani (Car–T e Nk-Car). Le cellule vengono raccolte, riprogrammate in laboratorio per potenziarne l’azione contro il cancro e poi reinfuse nelle pazienti. Parallelamente la ricerca di base lavora per individuare nuovi punti deboli del tumore su cui si intervenire per bloccare la crescita e la diffusione metastatica.
Il decimo tumore femminile in Italia
Nel nostro paese, il tumore dell’ovaio è il decimo tumore femminile più frequente, che ogni anno colpisce circa 5.400 donne. Si tratta di una patologia che inizialmente non provoca alcun sintomo e non esistono, ad oggi, dei test per una diagnosi precoce. Nella maggior parte dei casi, il tumore all’ovaio viene diagnosticato quando è già in uno stadio avanzato, motivo per cui la sopravvivenza a cinque anni dall’anamnesi si attesta a circa il 43% dei casi, molto inferiore rispetto a quella di altri tumori che colpiscono le donne. Se scoperto in fase iniziale, invece, quando è ancora confinato all’ovaio, la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi raggiunge il 70%-90%.
“Purtroppo nessun esame di screening è ancora in grado di identificare il tumore dell’ovaio in fase precoce. Così ben l’80% dei tumori ovarici viene diagnosticato quando la malattia è già progredita e le probabilità di guarigione si riducono – spiega la professoressa Domenica Lorusso, direttore dell’unità operativa di Ginecologia Oncologica di Humanitas San Pio X -. La ricerca sta però facendo importanti progressi. Grazie a Fondazione Airc stiamo portando avanti il nostro progetto focalizzato su due classi di farmaci, i Parp inibitori e l’immunoterapia. Vogliamo capire se la combinazione di queste due terapie funziona e se è più efficace della chemioterapia tradizionale contro il tumore ovarico resistente alla chemioterapia. Avremo anche la possibilità di fare una serie di analisi utili a identificare quali pazienti potrebbero beneficiare della combinazione di Parp inibitori e immunoterapia e quali sono i meccanismi di resistenza della recidiva”.
Chirurgia e terapie
La chirurgia è l’approccio più comune per rimuovere i tumori dell’ovaio e l’intervento può richiedere tecniche diverse a secondo dello stadio raggiunto dalla malattia. Il rischio che la malattia si ripresenti anche dopo l’operazione rimane comunque piuttosto alto (circa il 50%-70%), motivo per cui, il procedimento chirurgico è spesso seguito da trattamenti di chemioterapia adiuvante a base di carbonio a paclitaxel. La stessa combinazione può anche essere utilizzata come terapia neo-adiuvante, ossia prima della chirurgia, nei casi in cui la chirurgia radicale non sia praticabile.
Tra i chemioterapici, tra i più utilizzati oggi c’è la trabectedina, sviluppata dal ricercatore Maurizio D’Incalci e dal suo gruppo, presso Irccs Istituto clinico Humanitas, grazie al sostegno di Airc. Fino a una decina di anni fa la chemioterapia era l’unica opzione di trattamento farmacologico, ma oggi è affiancata anche da terapie a bersaglio molecolare, usate sia come prima linea di trattamento, sia in caso di recidiva.
Fonte : Wired