Karen: milizia etnica chiede l’espulsione dei centri per le truffe online

Oltre agli sforzi di Cina e Thailandia contro le attività illecite che proliferano in Myanmar, ora anche la Democratic Karen Buddhist Army ha chiesto ai cinesi coinvolti in attività criminali di lasciare il territorio entro la fine del mese. Migliaia di stranieri dall’Africa e dall’Asia meridionale vengono trafficati nel sud-est asiatico per operare in condizioni di moderna schiavitù. 

Bangkok (AsiaNews) – Una milizia di etnia karen attiva nelle aree di confine tra Myanmar e Thailandia ha lanciato un ultimatum ai cittadini cinesi coinvolti in attività criminali nel territorio sotto il suo controllo, ordinando loro di andarsene entro il 28 febbraio. Nel proprio comunicato, la Democratic Karen Buddhist Army (DKBA) ha avvertito che chi non si adeguerà dovrà affrontare conseguenze secondo la legge locale. L’ordine di espulsione riguarda in particolare i gestori di case da gioco, ristoranti e qualsiasi attività legata al commercio o alle transazioni illegali nella città di Phayathonezu, nello stato di Kayin (o Karen). La DKBA ha inoltre annunciato un’intensificazione dei controlli nelle aree sotto il suo dominio per prevenire ulteriori ingressi di cittadini cinesi, spesso essi stessi vittime di sfruttamento da parte dei loro connazionali.

L’ultimatum arriva dopo un primo comunicato diffuso ieri, in cui la milizia rispondeva alle crescenti preoccupazioni della popolazione locale. Negli ultimi giorni, infatti, diverse aree della regione sono rimaste senza energia elettrica, carburante e connessione internet a causa del taglio delle forniture da parte della Thailandia, che ha colpito non solo Phayathonezu, ma anche altre quattro località di confine, note come “città del vizio” (sin city), epicentri di attività criminali online. Si tratta di aree tristemente famose per la presenza di gang, in gran parte di origine cinese, che sfruttano migliaia di individui, spesso reclutati con l’inganno o con la forza, per costringerli a lavorare in condizioni di schiavitù, subendo minacce e torture.

Un caso emblematico è quello di un cittadino kenyota, costretto a operare nel traffico di criptovalute. Dopo essere stato sottoposto a torture e minacce, è riuscito a sfuggire ai suoi carcerieri e, a piedi nudi, ha percorso 10 chilometri per attraversare il confine e rifugiarsi in Thailandia. Qui ha denunciato la presenza di altri 23 suoi connazionali intrappolati nella stessa struttura, insieme a un migliaio di persone provenienti da Bangladesh, Etiopia, Pakistan e Sri Lanka.

Di fronte a questa emergenza, di recente i governi di Pechino e Bangkok hanno intensificato la pressione sul regime militare del Myanmar e sulle milizie etniche, chiedendo azioni concrete per liberare le aree di confine da una piaga che alimenta non solo la criminalità informatica, ma anche il contrabbando e il traffico di droga, spesso gestiti dalle stesse organizzazioni che operano nella tratta di esseri umani. Negli ultimi mesi, migliaia di stranieri provenienti da diversi Paesi sono stati individuati o liberati da queste reti di sfruttamento, e in parte rimpatriati. Tuttavia, la portata del fenomeno e l’assenza di un’efficace azione di contrasto da parte del regime birmano, impegnato nella guerra civile, continuano a rendere la situazione estremamente critica e complessa.

Fonte : Asia