La formazione dell’esecutivo, pur con la presenza di un ministro di Amal (alle Finanze), sancisce l’affrancamento da Teheran. Fra le scadenze in agenda l’applicazione della Risoluzione 1701 e il cessate il fuoco con Israele. Prioritario trovare una soluzione al fallimento delle banche.
Beirut (AsiaNews) – Dopo l’elezione del Presidente Joseph Aoun il 9 gennaio scorso, nel fine settimana il Libano ha registrato anche la formazione di un nuovo governo guidato dal primo ministro Nawaf Salam, ex presidente della Corte internazionale di giustizia (Cig), dopo diverse settimane di difficili negoziati. Questo sviluppo pone fine a più di due anni di governo ad interim ed è una ulteriore conferma del declino dell’egemonia iraniana in Libano.
L’indebolimento di Hezbollah, che ha subito notevoli perdite nella guerra con Israele, e la caduta della dittatura di Bashar al-Assad in Siria hanno permesso all’ex comandante dell’esercito Joseph Aoun, considerato il candidato preferito da Washington, di essere eletto presidente. A seguire, l’approvazione di Nawaf Salam come primo ministro e l’avvio delle consultazioni per un esecutivo.
In queste ore la stessa ambasciata statunitense in Libano ha espresso soddisfazione per la formazione del nuovo governo, auspicando che “attui le riforme necessarie”. Al suo arrivo oggi in Libano Morgan Ortagus, numero due dell’inviato americano in Medio Oriente Steve Witkoff, dopo aver incontrato il presidente Joseph Aoun, ha messo in guardia da qualsiasi presenza movimento filo-iraniano nel nuovo governo. Egli ha quindi affermato che il partito di Dio è stato “sconfitto” da Israele. In risposta, il capo dello Stato ha abilmente evitato questa palese interferenza negli affari interni del Libano, denunciata anche da Hezbollah, rilasciando un comunicato in cui afferma che i commenti della Ortegus erano “esclusivamente della sua autrice” e senza valenza alcuna per Beirut.
Infatti l’ex deputato Yassine Jaber, che ha stretti legami con il movimento sciita Amal alleato di Hezbollah, è stato nominato – mantenendo la carica – nella posizione strategica di ministro delle Finanze nel nuovo governo. Alcuni hanno visto questa scelta come una concessione al partito filo-iraniano. Tuttavia, gli ambienti parlamentari sottolineano che Jaber è “un uomo di grande competenza e integrità, che gode anche della doppia nazionalità libanese e americana e si reca spesso negli Stati Uniti”. Ma se il tandem sciita è riuscito a strappare il ministero delle Finanze, è ben lontano dal controllare il nuovo gabinetto. Salam ha infatti mantenuto la promessa di escludere dal suo esecutivo i membri dei partiti politici e chiunque intenda candidarsi alle elezioni legislative previste per il prossimo anno (maggio 2026). Inoltre, il governo è composto in modo da evitare qualsiasi impasse interna, contrariamente ai criteri adottati a Doha (Qatar) nel 2008, su pressione dell’allora onnipotente Hezbollah.
Inoltre, le Forze libanesi di Samir Geagea hanno ottenuto cinque portafogli nel governo Salam, tra cui il ministero degli Affari esteri, altamente strategico, e quello dell’Energia e delle telecomunicazioni. Si tratta di due portafogli che dovrebbero svolgere un ruolo chiave nell’attuazione delle riforme attese dai libanesi e dalla comunità internazionale. Di contro, il Marada di Sleiman Frangié e il Movimento patriottico libero (Cpl) di Gebran Bassil sono stati esclusi da qualsiasi ruolo all’interno della compagine di governo.
Affari in sospeso
Il nuovo governo è composto da 24 membri, tra cui cinque donne (contro una sola nel precedente gabinetto) e “pesi massimi” come gli ex ministri Ghassan Salamé e Tarek Mitri, che sono stati entrambi rappresentanti del segretario generale delle Nazioni Unite nel Maghreb. In una dichiarazione televisiva, il primo ministro ha affermato che si impegnerà a “ripristinare la fiducia tra i cittadini e lo Stato, tra il Libano e i suoi vicini arabi e tra il Libano e la comunità internazionale”. Il presidente Joseph Aoun inaugurerà questo programma nel suo primo viaggio in Arabia Saudita: si tratta di un passo necessario per ottenere i fondi necessari alla ricostruzione e per una profonda riconciliazione con il regno, che si era allontanato dal Libano in risposta all’ostilità di Hezbollah, e il cui ritorno sulla scena libanese è sancito dal nuovo governo.
Al riguardo, il ripristino della fiducia richiede tre grandi progetti urgenti: l’attuazione della Risoluzione 1701 e la ricostruzione dei villaggi di confine devastati; l’indagine sull’esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020, sospesa dietro pesanti pressioni di Hezbollah; la riforma complessiva del settore bancario.
Il ritiro israeliano dai villaggi e dalle aree ancora occupate nel sud del Libano è la scadenza più immediata e dovrebbe entrare in vigore già a partire dal 18 febbraio prossimo. Tuttavia, con tutta probabilità si scontrerà con l’intenzione dello Stato ebraico di mantenere una presenza militare su alcune colline strategiche, mentre si assicura che Hezbollah consegni tutte le sue posizioni all’esercito libanese a sud del fiume Litani, in conformità con l’accordo 1701.
Infine, il governo di Salam avrà il gravoso compito di trovare una soluzione al fallimento delle banche che, dal 2019, ha privato decine di migliaia di libanesi dei loro risparmi. Al riguardo sarà necessario un audit trasparente dei conti della Banque du Liban, secondo quanto auspicato dal Fondo monetario internazionale (Fmi). Si tratta di un passaggio fondamentale, che le autorità interessate si rifiutano però di compiere dal 2019 opponendo resistenze ripetute, per il timore di rivelazioni scandalose sulla portata della corruzione all’interno delle istituzioni.
Tuttavia, questa operazione verità è l’unico modo per sbloccare i fondi internazionali necessari per la ricostruzione e per stimolare un’economia minata (e impantanata) dal 2019. Per domani, 11 febbraio, è in programma un Consiglio dei ministri inaugurale, ma prima che la nuova squadra di governo possa entrare nel pieno esercizio dei propri poteri sarà necessario redigere una dichiarazione ministeriale da sottoporre al voto di fiducia del Parlamento entro 30 giorni. La dichiarazione dovrà specificare se la Risoluzione 1701 raccomanda il disarmo parziale o totale di Hezbollah. Dall’esito di questo atteso, e lungo, braccio di ferro si potrà finalmente capire se il Paese dei cedri è uscito dalla sfera di influenza iraniana.
Fonte : Asia