Il numero di paper scientifici fraudolenti che vengono pubblicati ogni giorno su riviste scientifiche più o meno credibili è in continuo aumento. La scienza si basa sugli esperimenti e la loro replicabilità, è vero. Ma anche e soprattutto sulla fiducia. Le nuove scoperte d’altronde si costruiscono su quelle del passato, come sapeva bene Isaac Newton quando ammetteva che “Se ho visto più lontano, è perché stavo sulle spalle dei giganti”. E nessuno scienziato avrebbe tempo, o modo, di ripetere ogni trial clinico e ogni esperimento fatto nel suo campo prima di lui. Quando delle scoperte del passato non ci si può fidare, quindi, inizia ad essere un problema.
Ed è quello che sta accadendo sempre più spesso in moltissime discipline. La produzione di paper fasulli cresce. E gli effetti iniziano a farsi sentire concretamente, come documenta un’indagine realizzata da Frederik Joelving, editor del sito Retraction Watch, e dagli informatici Cyril Labbé – dell’università di Grenoble-Alpes – e Guillaume Cabanac – dell’istituto di ricerca informatica di Tolosa – descritta negli scorsi giorni su The Conversation.
I paper mill
Le frodi scientifiche ovviamente non sono una novità, come vi abbiamo raccontato spesso anche su Wired. Quel che descrivono i tre ricercatori nel loro articolo è però una situazione prossima al punto di non ritorno. Una produzione scientifica bulimica, alimentata dal fenomeno – mai risolto – del publish or perish (la necessità di pubblicare il più possibile per fare carriera nelle università), produce ormai a livello globale 119mila articoli a settimana, sei milioni l’anno. In questo ecosistema sempre più competitivo, in cui ormai la quantità conta spesso molto più della qualità, fioriscono da anni quelle che in inglese vengono definite paper mill, o fabbriche di articoli scientifici: organizzazioni che producono e pubblicano articoli fasulli, e permettono a ricercatori senza scrupoli di comprarne la paternità, in cambio di denaro.
Il risultato? Stando ai dati forniti dagli stessi editori delle riviste scientifiche, almeno il 2% delle ricerche che vengono sottoposte per la pubblicazione ogni anno è probabilmente fasullo. Non parliamo delle ricerche effettivamente pubblicate, è vero, ma un tale volume di fuoco da parte dei paper mill ha necessariamente delle conseguenze anche sulla letteratura scientifica: ad oggi sono circa 55mila i gli articoli ritirati da riviste peer reviewed, e si stima che quelli fraudolenti ancora pubblicati potrebbero essere diverse centinaia di migliaia.
Barare è facile con l’intelligenza artificiale
I paper mill non sono un fenomeno recente, visto che il primo articolo ritirato attribuibile a una simile organizzazione nei database di Retraction Watch risale al 2004. Ma negli ultimi anni hanno guadagnato terreno sempre più velocemente, anche grazie a programmi che permettono di automatizzare la produzione dei falsi articoli con estrema facilità. E con risultati credibili quel tanto che basta per ingannare peer revirewer poco attenti, oberati di lavoro (è un compito che si svolge molto spesso gratuitamente), se non, a volte segretamente, complici dei truffatori.
Fonte : Wired