AGI – C’è un rione a Napoli che porta con sè una storia poco conosciuta ma profondamente legata alla tragedia delle foibe e all’esodo giuliano-dalmata. Si trova a San Giovanni a Teduccio, periferia orientale della città, ed è conosciuto come Rione Badessa, o più semplicemente Rione dei Profughi.
Qui, nel 1952, arrivarono circa 400 famiglie provenienti dall’Istria, dalla Dalmazia e dal Dodecaneso, costrette ad abbandonare le proprie terre dopo la firma del Trattato di Pace del 1947 e le persecuzioni jugoslave. La loro storia si intreccia con quella di Napoli, una città che, tra le difficoltà del dopoguerra, seppe offrire accoglienza e integrazione.
“Mentre in altre parti d’Italia gli esuli venivano accolti con freddezza o addirittura ostilità, qui trovarono un rifugio e una possibilità di ricostruire le loro vite”, racconta Mario Bortone, responsabile del “Comitato 10 Febbraio”, che mantiene viva la memoria delle stragi compiute dai partigiani comunisti di Tito. “Napoli, in particolare nei centri di Capodimonte, Bagnoli e Aversa, ospito’ migliaia di esuli, dimostrando grande umanità”.
Ma il Rione Badessa rappresenta un caso unico. “Immaginate cosa significasse inserire centinaia di famiglie di profughi in un quartiere a fortissima tradizione comunista, in pieno boom industriale degli anni ’50. Il rischio di tensioni sociali era altissimo”, spiega Bortone.
“All’inizio le comunità si guardavano con diffidenza, ma col tempo si instaurò un rapporto di conoscenza e integrazione. Nacquero amicizie, matrimoni misti, e alla fine il quartiere divenne una fusione di due storie diverse”. Non fu un percorso facile. Per anni, i profughi rimasero ai margini della società. “Erano italiani due volte: per nascita e per scelta. Eppure, furono visti con sospetto”, prosegue Bortone.
“Molti di loro lavoravano e studiavano in città, ma a fine giornata erano costretti a rientrare nei campi profughi, quasi come se fossero confinati in un ghetto. Solo con la legge n. 137 del 1952, che destinava il 15% delle case popolari agli esuli, riuscirono a trovare una sistemazione stabile e integrarsi pienamente”.
Oggi, del passato del Rione Badessa resta il ricordo di chi ha vissuto quegli anni e tramanda la storia alle nuove generazioni. “Questa vicenda non deve essere dimenticata”, conclude Bortone. “Il Giorno del Ricordo serve proprio a questo: a far conoscere una pagina di storia che per troppo tempo è stata marginalizzata. Napoli ha saputo accogliere, e oggi ha il dovere di ricordare”. Per commemorare questa memoria, domani, 10 febbraio, si terranno due iniziative in città.
Alle 19, al Ridotto del Teatro Mercadante, andrà in scena lo spettacolo “Memoria divisa”, curato da Emma Cianchi e Antonio Nicastro, che affronta il tema della prigionia e delle stragi negate. Alle 20, nei Giardini di Piazza Mercadante, si terra’ invece il consueto presidio in ricordo delle vittime, organizzato dal “Comitato 10 Febbraio”, un appuntamento che si ripete da oltre dieci anni. “La memoria è un dovere morale”, ribadisce Bortone. “Dobbiamo raccontare questa storia perché non cada nell’oblio, perché le vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata abbiano finalmente il riconoscimento che meritano”.
Fonte : Agi