“Mi ha bloccata con le spalle al muro e mi ha accarezzato la schiena, le spalle, i fianchi”. Quello di Anna Ipata, neuropsichiatra infantile di 60 anni, è un ricordo ancora vivido. I fatti risalgono a quando aveva 12 anni e come molti altri bambini di Pisa frequentava la parrocchia di Santo Stefano. Qui, in quel luogo che sembrava insospettabile, un prete ormai deceduto, don Luigi, l’avrebbe molestata. La professionista, che lavora alla Columbia University di New York, ha deciso di raccontare a distanza di decenni la sua storia al Corriere. Un modo per rilanciare l’impegno del coordinamento nazionale delle famiglie dei sopravvissuti agli abusi sessuali sui minori. Che nasce proprio oggi, 7 febbraio.
La storia di Ipata
“Negli anni ‘70 frequentavo la parrocchia di Santo Stefano, come tanti altri ragazzi del quartiere. Un luogo di incontro dove ci riunivamo per il catechismo, per cantare durante la messa e partecipare alle attività”, racconta la neuropsichiatra. Lì c’era un prete, don Luigi, che aveva un atteggiamento distaccato dai bambini e che tutti avevano etichettato come “strano”: “Suscitava un certo sospetto. Non sembrava avere particolare confidenza con i ragazzi”, ricorda la donna. Non ci aveva mai scambiato una parola fino a che non sono avvenute molestie. Ipata si trovava nel corridoio della casa della parrocchia che dava sul cortile quando don Luigi la prese con violenza bloccandola spalle al muro. E accarezzandole tutta la schiena fino ai fianchi.
“Sentivo vergogna, il ribrezzo ti rimane addosso”
Ipata non ne aveva mai parlato con nessuno: “Sentivo vergogna, anche per il fatto che fosse successo nella nostra parrocchia”. Poi però 10 anni fa è arrivata la prima confessione, con i suoi a tavola: “Solo perché si parlava di pedofilia nel clero, come fosse qualcosa che non ci riguardava. Quasi con un gesto di rabbia dissi ‘e comunque sappiate che anche nella vostra cara parrocchia c’era chi molestava I bambini’. Così venne fuori”. Per l’occasione della nascita del coordinamento ha deciso di rendere la sua storia pubblica. Una testimonianza per non far sentire le vittime sole e incentivare le denunce. Quell’episodio non se ne è mai andato dalla sua vita: “Certamente un senso di violazione e di ribrezzo ti rimane addosso. Negli anni, ripensandoci, ho capito”. Dopo le presunte molestie, Ipata ha continuato a frequentare la parrocchia fino ai 13 anni: “So che don Luigi ci rimase a lungo, poi fu spostato in una casa di cura a Pisa dove morì”.
Un altro caso nella stessa parrocchia
Ipata in questi anni ha però incrociato la Rete l’abuso, associazione impegnata nella denuncia degli abusi sui minori negli ambienti clericali. L’incontro è arrivato con lo scandalo più recente degli abusi su due fratelli, nella stessa parrocchia di Santo Stefano che Ipata aveva frequentato quando era piccola. La neuropsichiatra ricorda: “Venni a sapere dell’associazione ‘Rete l’abuso’, e chiamai il fondatore Francesco Zanardi per metterlo al corrente di cosa mi era successo tanti anni prima. Da allora ho cominciato a supportare l’associazione”. E l’impegno proseguirà con il coordinamento nazionale delle famiglie dei sopravvissuti.
Fonte : Today