Pinocchio spegne 85 candeline, ma a dispetto del tempo che passa, rimane un punto di riferimento innegabile per la Disney e non solo. La sua capacità di rappresentare un equilibrio perfetto tra forma e contenuto, lo rende ancora oggi un Classico Disney tra i più importanti, un momento fondamentale della storia dell’animazione sul grande schermo.
Una delle più grande scommesse della storia del cinema
Pinocchio ha avuto una delle genesi più complesse, articolate e rivoluzionarie della storia della Disney e dell’animazione. Di fatto, segnò un punto di svolta assoluto nel processo creativo e produttivo. Fu l’animatore Norman Ferguson a far leggere il classico di Collodi a Walt Disney, che ne rimase semplicemente affascinato, tanto da decidere di fermare la produzione di Bambi per dare precedenza a questo progetto. La produzione cominciò nel 1937, sotto la supervisione di Ben Sharpsteen e Hamilton Luske, ma fu chiaro fin dall’inizio, che molto della trama originale sarebbe stata modificata per il pubblico di riferimento, senza contare naturalmente la caratterizzazione del protagonista. Su questo punto, da decenni, i puristi e i collodiani in generale hanno sempre avuto un rapporto abbastanza altalenante e ambiguo con Pinocchio, accusato di essere diventato nella mani di Walt Disney, un mero racconto moraleggiante, perfettamente inserito all’interno di un’ottica pedagogica americana, con cui elevare i valori della società borghese, strangolando l’anima ribelle, anarchica e ambigua del racconto creato da Collodi.
Ma Pinocchio stabilì un precedente: nei decenni a venire, trasportando sul grande e piccolo schermo i classici della letteratura, della mitologia o del folklore, la riscrittura e l’adattamento sarebbe diventati una prassi in casa Disney. Basti pensare a La Sirenetta, Hercules, La Bella e la Bestia tutti in realtà molto differenti dal racconto originale, modificati secondo il gusto del pubblico di quel periodo specifico. Si era del resto già fatto con Biancaneve e i sette nani, ma ciò che Walt Disney chiese ed ottenne per Pinocchio, fu di gran lunga molto più articolato, ed interessò sia la sua dimensione narrativa che soprattutto la sua estetica. Il team d’animazione fu tra quelli di maggior caratura e ampiezza della storia della casa di produzione, comprendeva artisti come Ward Kimball, Milt Khal, Joe Grant, Eric Larson e tanti altri. Ma fu un processo lungo e difficile, perché ogni stesura della sceneggiatura e ovvio e conseguente rimaneggiamento, comportava un cambio di caratterizzazione del world building. Disney del resto era noto per essere un perfezionista, capace di chiedere di ricominciare tutto da oggi a domani.
L’estetica ibridamente europea di Pinocchio fu creata da Gustaf Tenggren e Albert Hurter, che virarono verso un mix tra la componente nordica, quella preraffaellitica e vittoriana. Il risultato fu potentissimo, coerente con l’intenzione di dare una personalità molto definita a quel mondo immaginifico e al suo protagonista. Pinocchio comportò la nascita di un nuovo settore produttivo nella Disney, dedicato allo studio e progettazione dei personaggi. Il capo-progettista Joe Grant, assieme ad artisti tra cui Carlo Cristodora, Ted Kline, Bob Jones, Jack Miller, creò non solo Pinocchio, ma tutti i personaggi, oggetti, veicoli più importanti. Furono costruite quasi 200 marionette per concepire il suo aspetto finale, visto che Walt Disney cambiava idea ogni due minuti. Più che un burattino, Disney decise che doveva essere un bambino leggermente diverso dalla norma, ma non fu certamente la sola novità, visto che alla fine, dopo una marea di diversi modelli e proposte, si decise di legarlo soprattutto alla narrativa di autori come Mark Twain e Charles Dickens. A dargli la voce fu Dickie Jones, 12enne sconosciuto texano.
Il Pinocchio di Walt Disney diventò un ragazzino ingenuo, dolce, curioso, vivace, un po’ troppo sicuro di sé, un po’ discolo, che andava alla scoperta del mondo in un film in cui tutto, da ogni personaggio, all’ambientazione stessa, celebrava un percorso di crescita anche doloroso. La trasformazione kafkiana di lui e Lucignolo in ciuchini, rimane un momento ai limiti dell’horror, a guardarlo oggi, pare di vedere un film di John Carpenter come La Cosa, un vero e proprio incubo. Walt Disney bocciò diverse stesure della storia che lo rendevano o sgradevole, oppure semplicemente indifeso contro personaggi come Mangiafuoco, il Gatto e la Volpe, lo stesso spaventoso Pescecane, mostro in cui risplende l’essenza del Leviatano e della Moby Dick di Herman Melville. Pinocchio fu un momento spartiacque dal punto di vista tecnico. Vi fu uno studio meticoloso di ogni possibile effetto animato, con un mix tra la stop motion e l’animazione a mano che fece epoca, ed una cura per i dettagli semplicemente incredibile, che lasciarono il pubblico dell’epoca letteralmente a bocca aperta.
L’impatto di un film animato capace di cambiare tutto
Sotto la supervisione di Joshua Meador, i personaggi furono disegnati partendo dai movimenti registrati in studio di attori reali, ma ciò che ancora oggi rende Pinocchio importante, è la cura per il movimento. Dalle sequenze di ballo a quelle in mare, dagli oggetti agli animali, fino alla polvere della mitica Fata Azzurra, tutto fu concepito come un quadro mobile. Grande importanza venne data anche la colonna sonora, Disney era perfettamente cosciente di quanto contasse per i più piccoli, decise di connettersi ai musical di Broadway. Fu la prima, vera, colonna sonora ufficiale del grande schermo venduta nei negozi, firmata da Leigh Harline, Ned Washington, Harline e Paul J. Smith. Il risultato finale fu quel When You Wish Upon a Star che sarebbe diventato da quel momento l’inno musicale della Disney. Fu un altro elemento che la critica colse perfettamente come un’evoluzione del concetto di lungometraggio animato, un salto di qualità all’interno di un’avventura, in cui il burattino diventava il mezzo attraverso il quale far comprendere ai più piccoli i valori di quell’America appena uscita dalla Grande Depressione.
Fonte : Wired