Gli impianti fotovoltaici sono veicoli essenziali della transizione energetica. Non manca, però, chi sottolinea come, per far posto ai pannelli, si incrementi il consumo di suolo e si riduca la biodiversità. La questione è quella del bilanciamento degli interessi. E’ possibile tenere tutto assieme? Uno studio del WWF condotto da Valerio Renzioni, entomologo e coordinatore Clima ed Energia di Wwf young prova a rispondere. Nel report “Un’energia che fa bene alla natura: i benefici del fotovoltaico per la biodiversità”, il ricercatore ha analizzato gli effetti positivi che una programmazione ragionata dei pannelli fotovoltaici potrebbe avere sulle piante, sugli insetti impollinatori, ma anche sul suolo e i piccoli vertebrati.
Impianti fotovoltaici attenti alla natura
Lo studioso espone risultati interessanti. La struttura stessa dei pannelli, per esempio, potrebbe favorire la nascita di microclimi favorevoli alla crescita di piante autoctone in grado di adattarsi alle nuove condizioni, andando a modificare semplici parametri, come la temperatura, l’umidità e le precipitazioni sul suolo sottostante. Lo studio del Wwf, che mette insieme anche i risultati di altre ricerche pubblicate negli ultimi anni, dimostra inoltre come questo mosaico di nuovi microclimi aumenti la biodiversità favorendo addirittura la proliferazione di alcune specie nelle aree sottostanti le file di moduli.
Ma non solo. Questi nuovi microhabitat attirerebbero, grazie alle nuove condizioni e alla diversificazione delle comunità vegetali, una categoria che secondo l’Iucn (Unione mondiale per la conservazione della natura) per il 10% è a rischio estinzione, ovvero i lepidotteri e gli apodei.
Esiste anche un risvolto economico: gli insetti impollinatori creano infatti “naturalmente”, grazie al loro instancabile lavoro, un valore che si aggira intorno ai 22 miliardi di euro in Europa (2,5 solo in Italia).
L’integrazione con l’agricoltura
L’integrazione di questa energia con l’agricoltura può riservare altre sorprese. Un esempio? L’acqua impiegata per il lavaggio dei pannelli fotovoltaici può essere recuperata per irrigare il terreno sottostante.
I potenziali benefici riguardano anche il suolo: grazie agli impianti fotovoltaici crescerebbe infatti di una certa misura il sequestro di carbonio, attraverso l’aumento ( di cui si parlava sopra) della biomassa vegetale.
E non solo. Con qualche piccolo intervento in fase di progettazione, come ad esempio l’integrazione di strutture per lo svernamento, la riproduzione e la nutrizione, verrebbe favorita la presenza di rettili e anfibi: “È sempre molto importante considerare il contesto nel quale l’impianto viene inserito – ha spiegato Renzioni durante la presentazione del report – Per favorire la presenza di alcune famiglie, come quelle dei tritoni e delle rane verdi, è sufficiente l’inserimento di alcune vasche per dare da bere agli animali, o di piccole siepi, filari e arbusti. In futuro l’aspetto cruciale sarà provare a invertire l’ottica della semplice compensazione all’esterno con una promozione della biodiversità all’interno dei parchi fotovoltaici stessi”. Un ulteriore accorgimento infatti riguarda la necessitò di lasciare indisturbato il suolo per mantenere condizioni idonee alla nidificazione e al rifugio di specie che occupano il sottosuolo per le loro funzioni vitali e riproduttive.
Il dibattito aperto
Secondo quanto riportato nello studio del Wwf, la comunità scientifica oggi suggerirebbe che sistemi fotovoltaici da un lato e pratiche agricole ragionate e complementari dall’altro sarebbero in grado di aumentare la produttività dei terreni del 60-70%, incrementandone il valore economico fino al 30% rispetto alla cosiddetta agricoltura convenzionale.
Non sempre però mettere in contatto questi due mondi è cosa facile: “Oggi c’è una contrapposizione tra il mondo delle rinnovabili, che spinge per creare impianti, quello agricolo, che invece tende a preservare ciò che già c’è oggi, e la tutela del paesaggio – spiega Attilio Piattelli del coordinamento Free (Fonti rinnovabili ed efficienza energetica) – Non possiamo pensare di creare solo impianti sui tetti, perché, anche secondo stime Ispra, questi coprirebbero tra i 60 e gli 80 Gigawatt, mentre le proiezioni della decarbonizzazione puntano a 200 Gigawatt di impianti fotovoltaici al 2050. E’ evidente quindi che degli impianti a terra vadano realizzati. Inoltre, servono strutture di medie dimensioni che possano avere un impatto reale sull’abbattimento dei costi dell’energia elettrica. Il progettista del futuro non dovrà essere un ingegnere che ottimizza semplicemente la resa dell’impianto ma dovrà lavorare in team con biologi, agronomi e botanici, per valorizzare al meglio la biodiversità“.
Fonte : Wired