Lavinia Wilson nei panni delle due Cassandre è clamorosa: villain e vittima allo stesso tempo, verso la fine assume una statura tragica che stravolge l’opinione dello spettatore su di lei. Per quanto Cassandra sia, in realtà, un dramma familiare, è anche un racconto di fantascienza. L’Alexa tedesca non è solo un’intelligenza artificiale, digitalizzato nel suo codice c’è anche una componente umana. In questo contesto la riflessione si fa meno terrificante: quello che inizia come un monito sull’intelligenza artificiale in forma di racconto dell’orrore, alla fine diventa quasi una parabola confortante, perché le azioni dell’Ai sono influenzate da emozione umane che, per quanto negative, sono comprensibili. Gelosia, tristezza, solitudine sono sentimenti che siamo in grado di capire, che in misure diverse giustificano azioni anche deplorevoli. In questo senso, Cassandra non è una serie di hard Sci-fi, è anzi decisamente “soft”.
Cassandra. Lavinia Wilson as Cassandra on the set of Cassandra. Cr. Courtesy of Netflix © 2023Sasha Ostrov/Netflix
La narrazione esplora il legame tra fisico e ambiente: la perdita di un corpo umano per Cassandra coincide con la perdita di una grossa parte della sua umanità, perché anche se il suo intelletto e le sue emozioni sono rimaste le stesse, la sua capacità di elaborarle ed esperirle sono state inibite dalla mancanza del senso del tatto. A un certo punto sembra che Sandy si sia spenta nel corpo robotico di Cassandra, dove è rimasto solo un codice. Se fosse così, Cassandra farebbe davvero paura: un’entità in grado di controllarci ma incapace di sentimenti è di gran lunga più terrificante. Quando quarant’anni fa James Cameron, attraverso le parole Kyle Reese in Terminator, spiegava a Sarah Connor che con i cyborg “non si può trattare, non si può ragionare. Non prova pietà, né rimorso, né paura, e non si fermerà mai” ha definito il motivo per cui l’Ai fa così paura.
Fonte : Wired