Israele si prepara a cacciare i palestinesi da Gaza, ma il piano di Trump è un enigma

Allo choc della comunità internazionale, e forse dello stesso entourage del presidente, si contrappone l’entusiasmo del governo israeliano per la proposta di Trump di prendere il controllo di Gaza, occuparsi della bonifica e della ricostruzione e di trasformarla in una “riviera”. Un polo turistico di lusso al posto dell’enclave devastata, cacciando sostanzialmente dalla loro terra i palestinesi, che dovrebbero essere sfollati in massa nei Paesi arabi limitrofi.

Non a caso il Medio Oriente ha reagito compattamente con rabbia all’annuncio, e da Egitto e Giordania è arrivato un netto no. Intanto, però, il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha ordinato all’esercito di preparare un piano per consentire la “partenza volontaria della popolazione di Gaza”.

Dove andranno i palestinesi “trasferiti”

Secondo quanto riferito dall’emittente israeliana Channel 12, il piano di “trasferimento” di Katz includerà opzioni di uscita attraverso i valichi terrestri, ma anche accordi speciali per le partenza via mare e via aerea. Perché, cioè che non viene detto, è che finora per i palestinesi non è esistita una vera libertà di movimento, e quindi di fuga. Chi vuole lasciare la Striscia è sottoposto al Cogat (l’amministrazione civile israeliana per i Territori occupati palestinesi), che compie controlli molto restrittivi e può negare il transito per motivi di sicurezza.

Alla domanda su chi accoglierà i palestinesi, Katz ha risposto che dovrebbero farlo i Paesi che si sono opposti alle operazioni militari di Israele a Gaza. “Paesi come la Spagna, l’Irlanda, la Norvegia e altri, che hanno lanciato accuse e false rivendicazioni contro Israele per le sue azioni a Gaza, sono legalmente obbligati a permettere a qualsiasi residente di Gaza di entrare nei loro territori”, ha affermato.

“La loro ipocrisia sarà smascherata se si rifiutano di farlo. Ci sono Paesi come il Canada, che ha un programma di immigrazione strutturato, che hanno già espresso la volontà di accettare i residenti di Gaza”. Un suggerimento già nettamente respinto dalla Spagna. “La terra di Gaza è dei palestinesi e deve essere parte del futuro Stato palestinese”, ha affermato il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares.

L’annuncio di Trump ha sorpreso tutti

Alla controversa idea di Trump hanno reagito con rabbia anche Cina, Iran, Turchia e gli alleati sauditi, lasciando perplessa l’Europa che comunque non è riuscita finora ad esprimersi in modo compatto. Meno scontato è che, secondo quanto trapela da funzionari dell’amministrazione Usa, lo stesso Netanyahu sarebbe rimasto sorpreso dal piano del tycoon. Il quale non avrebbe discusso precedentemente l’idea né con gli interlocutori israeliani né con la propria amministrazione.

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Secondo il New York Times, non c’erano stati incontri preliminari con il Dipartimento di Stato o il Pentagono, come normalmente accade per proposte di politica estera, tanto più se di una simile portata. Il Dipartimento della Difesa non avrebbe lavorato ad alcuna stima del numero di truppe americane richieste o dei costi, e neanche a un più generale schema di come dovrebbe funzionare il piano di Trump per Gaza.

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Non è un caso, ed è stato notato da molti, che subito dopo l’annuncio altisonante sulla “Riviera del Medio Oriente” arrivato durante la conferenza stampa congiunta con Netanyahu, l’entourage di Trump si sia dato da fare per ridimensionare vari aspetti del progetto.

La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha sottolineato come il trasferimento dei palestinesi sarebbe stato “temporaneo”, mentre Trump aveva parlato di un controllo del territorio a lungo termine. Inoltre ha smentito che il presidente si fosse impegnato “boots on the ground” e ha minimizzato l’ipotesi di un investimento finanziario statunitense, nonostante il coinvolgimento degli Usa evocato da Trump era stato decisamente ampio: “Gli Stati Uniti prenderanno il controllo della Striscia di Gaza e faremo un importante lavoro con essa. La possederemo e saremo responsabili dello smantellamento di tutte le pericolose bombe inesplose e di altre armi presenti sul posto, livelleremo il sito e ci sbarazzeremo degli edifici distrutti, livelleremo tutto”.

L'annuncio di Trump in conferenza stampa con Netanyahu

Nonostante l’entusiasmo mostrato da Benjamin Netanyahu – “La prima buona idea che ho sentito”, ha detto parlando del piano – anche dal premier israeliano sembra sia arrivata una parziale frenata sul fronte dell’impegno statunitense, almeno per quanto riguarda l’attività militare. Di cui lo stato ebraico vuole continuare ad essere protagonista: “Non credo che Trump abbia parlato di inviare truppe statunitensi per completare il lavoro di distruzione di Hamas. Questo è il nostro lavoro e siamo assolutamente impegnati a farlo”.

“Pulizia etnica”: i nodi del piano Trump

In sostanza, il piano di Trump per Gaza solleva più interrogativi che prospettive concrete. C’è il tema innanzitutto del diritto internazionale e di come sarebbe giustificata la confisca del territorio palestinese. Sul punto il capo delle Nazioni Unite Antonio Guterres è stato chiaro: “Ogni spostamento forzato di persone equivale a una pulizia etnica”.

Per quanto Israele e gli Usa parlino di trasferimenti “volontari”, i palestinesi hanno detto che non lasceranno la propria terra. E i Paesi limitrofi non sono disposti ad accogliere centinaia di migliaia di sfollati. L’impegno evocato da Trump, sia finanziario che in termini di risorse umane, potrebbe anche sollevare poco entusiasmo sul piano interno, in un momento in cui è stata piuttosto la retorica del disimpegno e dell’attenzione agli affari interni a portarlo alla ribalta.

Fonte : Today