Diversa la logica per i prodotti audiovisivi, in cui il problema riguarda più che altro il tema delle concessioni dei diritti televisivi e degli accordi di distribuzione. È il motivo per cui, ad esempio, i servizi di streaming online utilizzano sistemi di geo-blocking per i loro utenti, mantenendo una rigida separazione a livello geografico nell’accesso ai contenuti. In questo ambito, però, la Commissione Europea avrebbe avviato un’interlocuzione con gli operatori del settore (a partire dal 2021) di cui però si sono perse le tracce.
C’è poi tutto quella costellazione di prodotti che hanno regolamentazioni specifiche in altri ambiti, come l’etichettatura, le difficoltà legate a garantire servizi post-vendita, differenze nelle norme di sicurezza e anche nelle garanzie per i consumatori. Insomma: non un quadro facile, in cui però la Corte dei Conti Europea ritiene che si sarebbe potuto fare meglio.
Le bacchettate alla Commissione e ai singoli governi
Nella relazione, la Corte non risparmia critiche nell’applicazione del regolamento del 2018. Quello più impressionante riguarda le differenze di trattamento per la violazione delle regole. È vero che si tratta di un problema comune quando si parla di direttive europee, in cui l’applicazione nei dettagli è determinata dal recepimento dei singoli Stati. Nel caso dei regolamenti, però, le cose solitamente vanno meglio. Questa volta non è così. Le differenze tra i paesi, notano i magistrati, sono spaventose: le sanzioni minime oscillano tra 26 euro e 900.000 euro, quelle massime tra 1.448 euro e 5 milioni.
E se questa mancanza di uniformità viene imputata a un’incapacità dei singoli Stati membri di coordinarsi su un tema “collettivo” come il mercato unico digitale, la Corte non le manda a dire nemmeno alla Commissione europea. Nell’analisi vengono, infatti, individuate numerose carenze sia a livello di definizione del regolamento, sia nell’impegno profuso per consentire un’applicazione efficace del regolamento.
Il problema maggiore, però, è il fatto che i cittadini europei (sia semplici consumatori che professionisti) sono poco informati sul contenuto del regolamento. Da uno studio del 2023, che comprende una serie di indagini e colloqui con le organizzazioni dei consumatori e di categoria, emerge come una percentuale significativa di professionisti (37 %) non fosse a nemmeno a conoscenza dell’esistenza del regolamento. I consumatori, invece, non ne avevano chiara la portata, per esempio per quanto riguarda la consegna.
Insomma: al momento il mercato unico digitale è ancora “un fantasma che si aggira per l’Europa”. Pochi cittadini (e aziende) conoscono i loro diritti e l’applicazione fa acqua da tutte le parti. Nella sua parte finale, la relazione snocciola una serie di raccomandazioni che comprendono la necessità di estendere l’applicazione a settori al momento esclusi (come i prodotti audiovisivi), un maggiore sostegno agli stati membri e un miglioramento delle modalità di esecuzione e monitoraggio dell’applicazione del regolamento. Tutto entro la fine del 2026. Auguri.
Fonte : Wired