AGI – Carlo Nordio si è comportato in Parlamento come “l’avvocato che cerca di sottrarre alla giustizia il proprio assistito” e non come il rappresentante di uno Stato che “ha ceduto, come tutti gli Stati parti dello Statuto di Roma, una sia pur ridotta quota di giurisdizione penale alla Corte penale internazionale (Cpi)”. Pasquale De Sena, ordinario di Diritto internazionale all’Università di Palermo e già presidente della Società italiana di Diritto internazionale e dell’Ue, spiega all’AGI i punti “errati” e “infondati” dell’informativa del ministro della Giustizia alla Camera, sui quali, anche tra i banchi dell’opposizione “nessuno ha avuto l’accortezza di ribattere”.
“Tutto il ragionamento del ministro – dice De Sena – muove dalla considerazione secondo cui lui e altri ministri del governo hanno un margine di discrezionalità politica nel dare esecuzione a un mandato d’arresto e a una richiesta di consegna della Corte penale internazionale: questo è errato. Il ministro fa riferimento all’articolo 2 comma 2 dello Statuto della Cpi, che parla, è vero, della possibilità di concertarsi con altri ministri, ma lo dice solo al fine di dare attuazione all’obbligo di eseguire il mandato di arresto e di consegnare l’imputato”.
Nordio ha poi lamentato che il mandato era scritto in lingua inglese: “Guardi – osserva il giurista – mi sembra che non ci sia non alcun appiglio normativo per questa doglianza, né nella legge di esecuzione dello statuto della Cpi, né nella legge di adeguamento 237 del 2012, la quale contiene un riferimento all’uso della lingua italiana solo nel caso di sentenza della Corte che disponga l’espiazione della pena in Italia (art. 16). Non mi pare che un atto redatto in una simile forma contrasti coi principi fondamentali dell’ordinamento italiano (art. 3, par. 2)”.
Quanto alla presunta incompletezza del mandato di arresto, De Sena sottolinea che “anche a voler ritenere sussistente la lacuna (nel mandato c’è comunque l’indicazione dl lasso di tempo di commissione dei crimini) il ministro aveva l’obbligo di consultarsi con la Cpi; la lacuna costituita dalla mancata indicazione dei giorni, in cui Almasri avrebbe commesso i crimini contestatigli poteva essere colmata attraverso una interlocuzione con la Cpi, sempre che di lacuna possa parlarsi. E – precisa De Sena – non esiste discrezionalità a questo riguardo: c’è un obbligo di interlocuzione (art. 91, c. 4 dello Statuto)”.
Se ci si sposta alla censura di “illogicità” del mandato formulata dal Guardasigilli, questa presunta illogicità, spiega all’AGI De Sena, avrebbe dovuto farla valere da Almasry “davanti alla Corte penale internazionale nel processo (art. 81 dello Statuto), e invece è stata usata qui da noi come motivo per non consegnarlo”. Dunque, riassume il giurista, “l’incompletezza poteva essere colmata con interlocuzioni con la Cpi, che Nordio aveva l’obbligo di intraprendere ai sensi dell’art. 91 comma 4 dello statuto della Cpi. Lui si riferisce all’art.91 comma 2, che indica come i mandati debbano avere requisiti formali equiparabili a quelli richiesti per le estradizioni, ma dimentica il comma 4, che lo obbliga a interloquire con la Cpi”.
“La pretesa illogicità – aggiunge – poteva esser fatta valere dall’imputato ai sensi dell’art. 81 dello Statuto dinanzi alla Trial Chamber, in sede di impugnazione del mandato di arresto emesso dalla Pre Trial Chamber. Non è questione la cui valutazione competa allo Stato richiesto, ivi compreso il suo Ministro della giustizia”.
La linea del governo italiano sembra un attacco alla Cpi. Ciò rappresenta una svolta nel rapporto tra l’Italia e le istituzioni internazionali? “Me lo sono chiesto anche io – risponde De Sena – e ritengo che questo governo, e in particolare Nordio, non comprenda la logica dello Statuto della Corte. Nel momento in cui lo abbiamo ratificato, gli abbiamo dato esecuzione, e abbiamo dettato norme di attuazione della legge di esecuzione, ci siamo vincolati a cedere una quota della nostra potestà punitiva alla Corte. Ciò che non riesce accettabile a Nordio e a questa compagine di governo – ribadisce De Sena – è questo: abbiamo ceduto una quota di giurisdizione penale ridotta, relativa a poche gravissime fattispecie criminose alla Corte penale internazionale, con tutto ciò che ne consegue. Loro ragionano come se la Cpi non fosse sovraordinata rispetto allo Stato, come se fosse un altro Stato che chiede un’estradizione, in una relazione orizzontale: non è così. Lo Stato – conclude – si è subordinato liberamente alla Cpi. Depotenziando il ruolo della Corte, è come se ci si mettesse di fatto fuori dalla Cpi”.
Fonte : Agi