Scoperto un possibile legame tra la salute vascolare e la malattia di Alzheimer. Secondo un nuovo studio, condotto dalla Lancaster University (nel Regno Unito) in collaborazione con il Centro medico dell’università di Lubiana in Slovenia, i “cambiamenti nell’orchestrazione delle dinamiche di ossigenazione cerebrale e nella funzione neuronale potrebbero essere tra i fattori chiave delle neurodegenerazione” tipica della malattia di Alzheimer. I ricercatori ipotizzano dunque che l’Alzheimer possa essere il risultato di un cervello non adeguatamente “nutrito” dai vasi sanguigni. I risultati dello studio, che apre a nuovi approcci e studi sulla patologia, sono stati pubblicati sulle pagine della rivista specializzata Brain Communications.
Lo studio nel dettaglio
Come spiegato dal team di ricerca, il cervello, pur rappresentando solo il 2% del peso corporeo, richiede fino al 20% del consumo energetico complessivo dell’organismo. Il cervello e il sistema vascolare collaborano per assicurarsi che riceva energia sufficiente. In questa cooperazione gioca un ruolo chiave l’unità neurovascolare (Nvu), costituita da un sistema vascolare connesso ai neuroni tramite cellule cerebrali, chiamate astrociti. Nel corso dello studio, i ricercatori hanno indagato eventuali alterazioni nel funzionamento dell’unità neurovascolare di pazienti con Alzheimer. Per farlo, hanno combinato misurazioni non invasive del flusso sanguigno cerebrale (l’ossigenazione) e dell’attività elettrica con nuovi metodi di analisi, sviluppati dal gruppo di fisica non lineare e biomedica di Lancaster. In particolare, hanno posizionato sonde elettriche e ottiche sul cuoio capelluto nel corso di un elettrocardiogramma (Ecg) per misurare la frequenza cardiaca e hanno utilizzato una cintura toracica per rilevare la respirazione. Misurando simultaneamente l’ossigenazione del sangue, l’attività elettrica cerebrale, la respirazione e l’attività cardiaca, i ricercatori sono stati in grado di osservare i ritmi fisiologici e identificare eventuali imperfezioni del ritmo. Il buon funzionamento del cervello dipende infatti dall’efficienza con cui sono orchestrati tutti questi ritmi.
I risultati
Per valutare la Nvu, e in particolare la forza (potenza) e il coordinamento (coerenza di fase) di questi ritmi, i ricercatori hanno utilizzato specifici algoritmi matematici. Grazie a questo approccio, è emerso che la frequenza respiratoria media era di circa 13 respiri al minuto nel gruppo di controllo composto da soggetti sani, mentre nel gruppo di pazienti con Alzheimer risultava essere di circa 17 respiri al minuto, con una frequenza superiore anche a riposo.
Secondo gli autori, questa scoperta potrebbe aprire la strada a nuovi studi sulla malattia di Alzheimer e fornire nuovi approcci per la diagnosi e il suo trattamento.
“Il nostro approccio mostra come l’Alzheimer possa essere rilevato in modo semplice, non invasivo e poco costoso. Il metodo ha un grande potenziale e stiamo discutendo le possibilità di creare una società spin-out o start-up per procedere al suo sviluppo, dopo le ulteriori e necessarie ricerche”, hanno concluso i ricercatori.
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Fonte : Sky Tg24