Quei giornalisti che salgono e scendono dal bus della politica (facendo danni)

È tornato al vecchio amore, Giovanni Toti, presidente dimissionario della Regione Liguria. Con un editoriale pubblicato il 4 settembre in prima pagina su “Il Giornale”, diretto da Alessandro Sallusti, Toti ha intrapreso una collaborazione con il quotidiano fondato cinquant’anni fa da Indro Montanelli. Prima di dedicarsi all’attività politica nazionale e poi a quella amministrativa in Liguria, era stato direttore di ben due telegiornali del gruppo Mediaset: Tg4 e Studio Aperto.

Toti che se la prende con la sinistra

Nel suo primo editoriale, con chi se la prende l’ex governatore Toti, ritornato giornalista? Con la «schizofrenia politica» della sinistra che sostiene in Europa la politica del rigore e in Italia si lamenta per i mancati stanziamenti del Governo. D’altronde sono quelli che sono subito scesi in piazza per chiedere che si levasse di torno dalla guida della Regione. Ma si toglie anche lo sfizio di punzecchiare il centrodestra che, a parte Matteo Salvini, ha saputo manifestare poca vicinanza all’ex governatore. «Sarebbe opportuno avviare una fase di riforme», scrive Toti, dopo due anni passati a «tappare buchi», ovvero le guerre e la crisi energetica. E poi indica l’ultimo Governo italiano che avrebbe presentato un piano di riforme «pro mercato, libertà economica, crescita». Questo sarebbe l’esecutivo Berlusconi del 2001.

Senza entrare nel merito della vicenda “totiana” che tocca diversi delicati temi – la vicinanza tra politica e imprenditoria, la mancanza di finanziamenti pubblici alla politica sostituiti da altro, i rapporti con la magistratura e la libertà concessa in cambio delle dimissioni -, l’ex presidente ligure è l’ennesimo (ex) politico che ritorna al giornalismo (e viceversa).

Una porta girevole: Capezzone, Tarquinio, Santoro

Una porta un po’ troppo girevole quella tra i due mondi. Giovanni Toti è solo uno dei tanti di un elenco ricco di figure che salgono e scendono dal bus della politica. Da Lucia Annunziata, Sandro Ruotolo, Marco Tarquinio, Michele Santoro, Lilli Gruber e Tommaso Cerno nel centrosinistra ad Augusto Minzolini, Vittorio Feltri, Daniele Capezzone, Giorgio Mulè, Andrea Cangini, Andrea Ruggeri nel campo avverso, passando per Gian Luigi Paragone ed Emilio Carelli (ex Movimento 5 Stelle, forza che, agli albori, odiava i giornalisti). E come papabili sostituti del ministro Gennaro Sangiuliano (giornalista pure lui) si fanno i nomi di Alessandro Giuli e Pietrangelo Buttafuoco, altri due professionisti ascrivibili al campo della destra. Un caso a parte è Walter Veltroni, ormai lontanissimo dalla politica di tutti i giorni. L’ex segretario dem, in passato direttore de “L’Unità”, ormai è capace di saltellare da una intervista ad un campione del calcio di ieri ad un approfondimento storico sul Pci della sua gioventù.

Giornalismo e politica: un rapporto malato

Un rapporto, però, malato quello tra i due mondi. Appena un giornalista/opinionista acquisisce un po’ di notorietà in video, partecipando ai talk show di riferimento, viene ritenuto “pronto” al salto in politica, sempre più alla ricerca di “figurine”. Le ultime elezioni europee sono state una gara tra generali, giornalisti e occupatrici abusive di case. Invece che costruirsi in casa propria amministratori locali che possono diventare i parlamentari e ministri di domani, meglio fare spesa nel mondo della comunicazione: il “teatrino” è ora fatto più di battute flash, tweet e stoccate da massimo trenta secondi.

C’è una legge che lo vieta? No, però questa commistione tra le due professioni inquina il dibattito pubblico, alimenta i conflitti d’interesse e contribuisce alla disaffezione degli elettori-lettori nei confronti della politica e dei media. Se un giornalista ripone la penna per svolgere attività politica, quantomeno – per questione di stile – non dovrebbe tornare a commentare amici, colleghi e avversari. Verrebbe da dire: a ciascuno il suo mestiere.

Fonte : Today