Anche per questo, Nadia, che voleva mangiare i cibi che le piacevano, che sapeva di essere sorvegliata assieme alla sua famiglia, che non tollerava più di essere un oggetto nelle mani del suo allenatore o in quelle dell’opprimente famiglia Ceausescu, alla fine del novembre 1989 varca, a piedi, di notte, i confini tra Romania e Ungheria. Sui media di mezzo mondo dell’epoca fu una notizia deflagrante, un altro cedimento della “Cortina di Ferro”. Infatti, dopo pochi giorni, Nadia atterra a New York con un volo Panam partito da Vienna.
La fuga o la scomparsa, spesso durante competizioni internazionali, di atleti che gareggiano per paesi dittatoriali, poveri e dalla situazione politica molto instabile non è un fatto insolito, sebbene sia difficile paragonarlo dal punto di vista della notorietà a quanto accaduto a Comăneci. L’ultimo caso risale al 20 agosto scorso, da quando alle Paraolimpiadi di Parigi non si hanno più notizie dell’atleta ruandese di sitting volley Claudine Bazubagira. Così, anche alla cerimonia di chiusura delle Olimpiadi dell’11 agosto mancavano all’appello tre atleti della Repubblica Democratica del Congo, due di questi sono poi riapparsi nei giorni successivi, ma, di fatto, solo tre su sei sono tornati in patria.
Molti ricorderanno anche l’atleta bielorussa Krystsina Tsimanouskaya, che alle Olimpiadi di Tokyo del 2021 contestò duramente il suo coach dopo aver saputo di essere stata inserita senza alcun preavviso nella staffetta 4×100, specialità in cui l’atleta non aveva mai gareggiato. Il coach reagì alle proteste espellendola dalla squadra e obbligandola a tornare nello stato del dittatore Aleksander Lukashenko. Era già all’aeroporto di Tokyo, quando Tsimanouskaya riceve la provvidenziale telefonata della madre, che la supplicava di non tornare poiché sarebbe stata inserita nella lista dei dissidenti politici bielorussi e condannata in contumacia. Solo per un soffio l’atleta riuscì a ottenere l’asilo politico in Polonia, di cui ora è cittadina.
Il caso che forse più si avvicina alla storia di Nadia Comăneci è quello della tennista cinese Peng Shuai, che nel 2021, in un lungo post sul suo profilo social Weibo accusò l’ex vice-premier cinese Zhang Gaoli di aver abusato sessualmente di lei. Un post cancellato dopo mezzora dalla censura, tempo comunque sufficiente per scatenare la reazione dei media e far sì che, dopo una sparizione durata più di due settimane, l’atleta sia poi inspiegabilmente riapparsa: prima con il presidente del Comitato Olimpico Internazionale, rassicurando sulla sua condizione, poi, di nuovo sui social, smentendo di “aver subito un’aggressione a sfondo sessuale”. Infine, nel 2022, in un’intervista al settimanale francese L’Equipe, dove, rispondendo a domande anticipate dal giornale su richiesta dello staff della tennista, rimarcava come quel suo post di sei mesi prima fosse stato “frainteso”. Ora Peng Shuai non gareggia più e Human Rights Watch China contesta la versione della Women’s Tennis Association (WTA), rientrata un anno fa in Cina, dopo aver sospeso le gare per protesta sul caso Shuai, affermando di sapere dov’è l’atleta e garantendo sulle sue buone condizioni di salute. La realtà è che di Peng Shuai, dopo quell’intervista del 2022, il pubblico non sa più nulla.
Fonte : Wired