Cosa rischia il 17enne che ha sterminato la famiglia a Paderno Dugnano: perché non avrà l’ergastolo

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La strage familiare di Paderno Dugnano

Per il 17enne che nella notte di domenica 1 settembre ha ucciso i genitori e il fratellino a Paderno Dugnano (Milano) si applicano i principi della giustizia penale minorile: niente ergastolo e niente messa alla prova, eliminata dopo l’entrata in vigore del decreto Caivano.

Intervista a Melissa Miedico

Professoressa di Diritto penale presso Università Luigi Bocconi, Milano

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Una strage che ha cancellato una famiglia intera a Paderno Dugnano (Milano). A impugnare il coltello, nella notte di domenica 1 settembre, è stato il figlio primogenito, 17 anni. “Ho ucciso i miei genitori e mio fratello perché pensavo che così avrei potuto vivere in un mondo libero.  Mi sentivo oppresso, un estraneo”, ha dichiarato il liceale agli inquirenti durante l’interrogatorio.

Il giovane si trova attualmente nel Centro di prima accoglienza del carcere minorile Beccaria di Milano. Cosa può succedere adesso? Quali sono gli scenari di un caso come questo, un triplice omicidio in famiglia che vede come responsabile un minore? “La valutazione sarà senz’altro complessa. Quel che è certo, però, è che l’obiettivo finale deve essere innanzitutto il reinserimento del ragazzo. Restituire insomma alla società un adulto maturo, pienamente consapevole”.

Il 17enne responsabile della strage di Paderno Dugnano è minorenne. Cosa succede adesso?

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Vista la minore età, si applicano per lui i principi del processo penale minorile, orientati prima di tutto alla rieducazione, alla risocializzazione e all’eventuale punizione nelle forme più adeguate alla sua personalità.

In cosa fondamentalmente si differenzia la giustizia minorile da quella applicata agli adulti?

La giustizia minorile ha come fulcro il minore. Significa che il legislatore pone al centro la personalità di un soggetto in crescita, e quindi in trasformazione, che deve essere valutato nella sua vulnerabilità e complessità. Questo si riflette anche nelle soluzioni, necessariamente finalizzate a un processo di rieducazione del soggetto: il d.P.R 448 del 1988 prevede maggiori soluzioni sanzionatorie diverse dalla pena detentiva prevista per gli adulti, qualora ne sussistano i presupposti.

Vorrei aggiungere comunque che pene severe non servono, in generale, a nessuno: soprattutto nello
stato in cui si trovano oggi le nostre carceri, sarebbe auspicabile fare il più possibile a meno della pena detentiva e favorire percorsi di risocializzazione per affrontare il profondo disagio di chi è oggi in carcere, almeno della maggioranza.

Nei confronti del minore può essere applicato l’ergastolo, nei casi di reati particolarmente gravi?

Proprio per queste ragioni assolutamente no, già dal 1994. In via generale, le pene sono meno severe per i minorenni (rispetto ai limiti minimi e massimi previsti dal codice penale) solo in ragione della età di chi ha commesso il fatto: le pene applicabili al minore imputabile sono diminuite come prevede l’art. 98 del codice penale, il che equivale ad una riduzione fino a un terzo.

Le ragioni di questa complessiva clemenza sovrastano la gravità del fatto: ce lo impone la Costituzione combinando il principio rieducativo e le esigenze di protezione dell’infanzia e della gioventù. La determinazione della pena è dunque da valutare nel caso concreto, con estrema prudenza e attenzione, tenendo conto dell’utilità effettiva della sanzione rispetto al fine del reinserimento del soggetto, che – per quanto abbia commesso un fatto gravissimo – resta comunque un soggetto vulnerabile.

Quale può essere il massimo della pena, per un soggetto minorenne?

È difficile da stabilire. La decisione sull’entità della sanzione dipende da tanti fattori, come l’inquadramento del fatto, le circostanze ritenute sussistenti (in questo caso mi sembra ne siano state contestate diverse: premeditazione, rapporti familiari, l’uso di una arma.), oltre ad altre scelte di carattere processuale che posso portare a diminuzioni della stessa (quella di svolgere il processo con rito abbreviato, per esempio).

Di particolare importanza è poi, in ambito minorile, la valutazione dell’imputabilità del minore. L’eventuale esclusione (per vizio di mente, per esempio) implica l’impossibilità di ricorrere ad una pena in senso stretto e apre scenari sanzionatori diversi: le misure di sicurezza, adatte ad una persona che – oltre ad essere minorenne – presenta una patologia diagnosticata da esperti psichiatri.

Quali possono essere le eventuali pene alternative previste da un giudice?

Attualmente per un omicidio aggravato, è purtroppo precluso il ricorso ad un importante e validissimo strumento previsto dal processo penale minorile: la sospensione del processo con messa alla prova, istituto principe nel diritto penale minorile.

Con la messa alla prova si prevede l’avvio di un percorso anche lungo e complesso in cui il minore è
affidato ai servizi minorili, vincolato al rispetto di prescrizioni (eventualmente in comunità) e
affiancato da esperti e operatori tra educatori, assistenti sociali, psicologi, psichiatri sotto il
continuo e attento vaglio del giudice sull’evoluzione del progetto e sull’adesione del minore.

Tale strumento sanzionatorio non può essere più applicato dopo il cosiddetto “decreto Caivano”
di un anno fa, che ha introdotto diverse discutibili preclusioni, tra cui quella per l’omicidio
aggravato).

Si ricorre spesso a questa misura? 

Sì. È una opportunità molto importante che spesso ha dato risultati positivi: un modo di
evitare il contagio criminale in carcere, la stigmatizzazione, la cristallizzazione di una immagine di sé negativa, soprattutto all’interno delle carceri minorili oggi.

Al di là di questo caso su cui, comunque, sarebbe stato davvero prematuro e insensato esprimersi su una eventuale applicabilità di questa misura oggi non applicabile a priori, credo però sia opportuno sottolineare come questa preclusione non sia condivisibile. Non sono stati molti i casi di così gravi reati come quello di cui discutiamo decisi con una messa alla prova, a conferma dell’attento vaglio e della prudenza dei Tribunali dei minorenni. Quando la messa alla prova è stata disposta, però, ha quasi sempre dato esito positivo: si tratta di percorsi anche molto lunghi e faticosi per il minore, ma davvero trasformativi.

Tornando al caso di Paderno Dugnano: al centro, nel processo, ci sarà senz’altro il nodo della premeditazione. Peserà?

E un aggravante che pesa, sì. Ma sarà oggetto di valutazione nel giudizio: potrebbe anche finire per cadere. Al centro, lo ribadisco, c’è la riflessione sulle ragioni che hanno portato il minorenne a compiere il fatto, per quanto gravissimo, e il suo reinserimento sociale. I giudici saranno senza dubbio capaci di combinare queste due valutazioni.

Il processo penale minorile prevede termini diversi, tempi più brevi rispetto al processo per adulti?

I tempi devono essere ragionevoli, e processi eccessivamente lunghi compromettono il senso stesso della punizione. Ma direi di no: anzi, in casi così gravi i tempi delle indagini e della custodia cautelare si prolungano inevitabilmente in ragione della complessità di accertamenti necessari e approfonditi.

Sulla questione dei tempi, comunque, va sottolineato un concetto importante, richiamato in primis dalla pm Sabrina Ditaranto nella conferenza stampa: è necessario più che mai avere il tempo per valutare a fondo questa vicenda così delicata. È necessario utilizzare prudenza nel ritenere ricostruito il quadro, così come lasciare spazio e tempo al ragazzo per elaborare e comprendere fino in fondo quanto accaduto, agli esperti di intervenire e aiutarci a completare questo quadro e gli accertamenti sulla personalità. Solo così si può lavorare a un’evoluzione positiva della personalità del minore, anche a seguito di una tragedia così devastante. Per chi non c’è più, per la famiglia, per lui e per tutti.

Il giovane si trova attualmente al Centro di prima accoglienza del carcere minorile Beccaria di Milano. Come funziona?

Il passaggio dalla libertà al carcere è sempre difficile, per chiunque. Nel caso di minori, in attesa dell’udienza di convalida, è prevista per legge una sorta di “anticamera” esterna all’istituto di pena: qui vengono costantemente osservati, e già incontrano operatori ed esperti.

Sarà necessario nominare un tutore legale per il ragazzo, minorenne e senza più i genitori. Cosa può succedere, in questo caso? Un giudice può scegliere una figura imparziale?

Immagino verrà nominato un tutore non familiare che avrà la rappresentanza del minore fino alla maggiore età: il ruolo non potrebbe spettare in questo caso ad un familiare, a causa della incompatibilità dovuta ai vincoli di parentela con vittime e reo.

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Fonte : Fanpage