Il film che a Venezia nessuno è riuscito a capire

Era tanta l’attesa per il nuovo film di Luca Guadagnino. Il regista palermitano, dopotutto, è uno dei nomi più acclamati del cinema contemporaneo e i suoi lavori, da “Call Me By Your Name” a “Challengers”, da “Bones and All” a “Suspiria”, sono sempre stati in grado di far parlare di sé, nel bene o nel male. E farà tanto parlare di sé anche “Queer”, l’ultimo film del regista italiano in gara al Festival di Venezia 2024 che nasce come adattamento del secondo romanzo di William Burroughs, che ha cambiato la vita del regista dopo averlo letto a 17 anni.

Lo farà perché “Queer” è il film più strano visto finora alla kermesse cinematografica, perché ha letteralmente sconvolto tutti e perché è talmente anticonvenzionale, folle e straniante che nessuno è riuscito a decifrarlo fino in fondo ritrovandosi addosso la strana sensazione di aver assistito più a un’allucinazione che a un vero e proprio film.

Siamo nel 1950. William Lee è un americano che vive a Città del Messico. Passa le sue giornate quasi del tutto da solo e ha una forte dipendenza dalle droghe. L’incontro con Eugene Allerton, un giovane studente appena arrivato in città, gli mostra per la prima volta la possibilità di stabilire finalmente una connessione intima con qualcuno. Ma questo rapporto gay non corrisposto lo porterà alla deriva. 

“Queer” non è un film canonico e su questo non c’è dubbio. Non segue una trama lineare, i suoi personaggi non evolvono ma degenerano e il filo del discorso è continuamente interrotto, rimescolato e agghindato da momenti splatter, lunghe scene erotiche, avvenimenti strambi che rendono la narrazione davvero ostica a un pubblico che dal cinema si aspetta almeno un minimo di chiarezza e comunicazione.  

C’è sesso, droga, debolezza umana in “Queer” che, più che parlare di amore omosessuale, parla di amore non corrisposto, di solitudine, di dipendenza, di ossessione. 

Il film di Guadagnino fa del caos la sua essenza, della follia il suo mantra, del ritratto del degrado umano il suo più grande orgoglio. E così la storia si perde in un racconto stralunato che appaga più il cuore del regista che quello del pubblico. 

“Queer”, come spiegato dallo stesso Guadagnino, ha come obiettivo quello di far riflettere il pubblico su chi siano gli uomini quando restano da soli con se stessi. Peccato che guardando il film sia impossibile decifrarlo. 

Guadagnino ha fatto un passo falso con “Queer”, è stato poco altruista con un pubblico che dal cinema si aspetta storie, personaggi e racconti comprensibili, chiari e in grado di regalare emozioni. Con Queer, per quanto ci si possa ricamare sopra, tutto questo non avviene. 

Voto: 5

Fonte : Today