“La sanità pubblica è la vera emergenza del Paese“, afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ente senza scopo di lucro specializzato in analisi della spesa sanitaria, commentando l’ultimo report sulla spesa sanitaria italiana della fondazione. Secondo il report, il nostro paese destina solo il 6,2% del prodotto interno lordo (Pil) alla sanità pubblica, una percentuale nettamente inferiore sia alla media dei Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse, 6,9%) sia a quella europea (6,8%).
I numeri
L’Italia spende 3.574 dollari per persona in sanità, il che la colloca al 16esimo posto tra i 27 paesi europei e all’ultimo posto tra quelli del G7. Il divario con i principali partner europei è significativo: rispetto alla Germania, che investe il 10,1% del Pil e ha una spesa pro-capite di 7.253 dollari, l’Italia sconta un gap di 47,6 miliardi di euro: “Di fatto in Europa siamo primi tra i paesi poveri, davanti solo a Spagna, Portogallo e Grecia e ai paesi dell’Est, esclusa la Repubblica Ceca”.
Questa situazione, secondo la Fondazione Gimbe, è il risultato di 15 anni di tagli e definanziamenti che hanno portato a un progressivo allontanamento dell’Italia dagli standard europei. Se nel 2008 le differenze con gli altri Paesi del G7 erano contenute, oggi sono diventate maggiori. Durante la pandemia, mentre gli altri paesi aumentavano gli investimenti per fronteggiare l’emergenza, l’Italia ha destinato alla sanità solo 772 dollari pro-capite in più rispetto al 2019, contro i 1.511 della Germania, i 1.329 del Regno Unito e i 1.280 della Francia.
Gli effetti sulle politiche quotidiane
Le conseguenze di questo sotto-finanziamento si riflettono nella vita quotidiana dei cittadini: tempi di attesa per visite ed esami, affollamento dei pronto soccorso, carenza di medici di base, diseguaglianze regionali e aumento della spesa privata sino alla rinuncia alle cure per le famiglie più povere. A fronte di un Servizio sanitario nazionale (Ssn) sempre più in difficoltà nel garantire il diritto alla tutela della salute, si sono moltiplicati i segnali istituzionali: la Corte dei Conti, la Corte Costituzionale e l’Ufficio parlamentare di bilancio evidenziano continuamente questo sotto-finanziamento. Anche il ministro della Salute Orazio Schillaci ha recentemente dichiarato che il 7% del Pil è il livello minimo sul quale attestarsi per il finanziamento della sanità pubblica.
Il governo Meloni si trova difronte ad un importante banco di prova. Senza un’inversione di rotta, da tracciare già nella nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef) del 2024 e, soprattutto, nella legge di Bilancio 2025, il diritto alla tutela della salute, già oggi compromesso per le fasce socio-economiche più deboli, per anziani fragili e nel Mezzogiorno, rischia di diventare un lusso per pochi, spiega la Fondazione. “Scivoleremo inesorabilmente da un Servizio sanitario nazionale fondato per garantire un diritto costituzionale a tutte le persone, a 21 Sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato, dove le prestazioni saranno accessibili solo a chi potrà pagare di tasca propria o avrà sottoscritto costose polizze assicurative”.
Fonte : Wired