In una caffetteria del campus Huawei che si trova a Dongguan, nella provincia di Guandong, a sud-est della Cina, sopra le riviste raccolte in una piccola libreria – tra cui spicca il Time con la famosa cover dedicata a Silvio Berlusconi – c’è una grande foto in bianco e nero di un aereo da combattimento.
È un famoso aereo da caccia russo, l’Ilyushin Il-2, impiegato principalmente durante la seconda guerra mondiale.
Il velivolo, nell’immagine, è ridotto male: le ali appaiono crivellate dai proiettili.
Eppure, vola.
Sotto l’Ilyushin Il-2 malandato, c’è scritto: “Gli eroi hanno sofferto molte difficoltà fin dai tempi antichi. Un aereo colpito durante la seconda guerra mondiale e coperto di fori di proiettile ha continuato a volare finché non è rientrato alla base, sano e salvo”.
Quella foto non si trova lì per caso.
L’aereo russo – realmente esistito, ma in questo caso preso in prestito dal videogame Il-2 Sturmovik: Battle of Stalingrad – è diventata una delle metafore preferite da Ren Zhengfei, l’ormai ottantenne fondatore di Huawei, da quando gli Stati Uniti hanno privato il colosso tech cinese delle tecnologie americane necessarie a produrre e sviluppare smartphone e computer avanzati.
“Eroi non si nasce, si diventa” ama ripetere Zhengfei.
E al People’s Daily, il quotidiano ufficiale del Partito Comunista Cinese, ha detto: “La nostra situazione attuale è che stiamo riparando il nostro “aereo” durante il volo, in modo che possa tornare a casa”.
La resilienza di Huawei, che ha annunciato qualche giorno fa risultati finanziari al di sopra delle aspettative, con un fatturato semestrale (+34,3%) che non si vedeva così alto dal 2020, passa anche per il suo campus di Dongguan, un’area sterminata di 1,4 milioni di metri quadrati – per intenderci, la metà della superficie occupata da Central Park a New York – su cui sorgono edifici progettati per stupire. E per comunicare ai visitatori – principalmente ai media, e dunque al mondo – che l’azienda cinese è capace di fare cose straordinarie.
“[Il nostro obiettivo è] creare un’atmosfera adatta agli scienziati stranieri in cui lavorare e vivere” ha detto Zhengfei ai dipendenti in una riunione interna nel 2021, che è stata successivamente resa pubblica da Huawei.
Il campus affaccia sul lago di Songshan, a sud di Dongguan, una grande metropoli abitata da 10 milioni di persone non lontana da Shenzen, dove Huawei ha il suo quartier generale.
Lo abbiamo visitato in una calda giornata di agosto, spostandoci da una parte all’altra del campus a bordo di un trenino rosso fornito dall’azienda svizzera Stadler Rail, una piccola replica di quello che viaggia sulla ferrovia dello Jungfrau, la linea più alta d’Europa.
Fuori dal finestrino, un contrasto che provoca un corto circuito cognitivo.
In lontananza, avvolti da una leggera foschia, si intravedono i grigi grattacieli di Dongguan. A due passi, invece, scorrono i colori e la bellezza del Vecchio Continente.
Nel campus Huawei più di 25mila dipendenti affrontano, ogni giorno, un simile viaggio nello spazio e nel tempo, fermandosi nelle 12 stazioni che introducono a un pezzo d’Europa e della sua storia.
Quando le porte del treno si schiudono, affacciamo su uno scenario familiare: i portici di Bologna, le sette chiese della città. E poi gli edifici che si ispirano al centro storico di Verona, con un anfiteatro che simboleggia – in questo caso molto a grandi linee – l’Arena.
Scendendo i suoi gradini, si arriva a un piccolo lago.
E quando si alzano di nuovo gli occhi, lo sguardo si imbatte in un castello rossastro ed enorme, che lascia pochi dubbi all’immaginazione: è una fortezza somigliante al castello di Heidelberg, di cui in Germania restano solo le rovine.
In tutto gli edifici del campus sono poco più di cento, ognuno si ispira all’architettura europea. Ma non si pensi all’effetto pacchiano che produce la Torre Eiffel di Las Vegas.
A Dongguan ci sono monumenti, chiese o palazzi copiati alla perfezione, ed è questa la vera forza del campus: è un luogo affascinante, che lascia a bocca aperta, ma non è un parco divertimenti.
Il campus ci è apparso semplicemente un bel posto in cui lavorare, un’oasi tra i grattacieli-dormitori di questo pezzo di Cina, in cui la connessione internet supera i 100 Mbps grazie alle antenne, i router e i modem prodotti e installati dalla stessa Huawei, che tra i consumatori è nota per i suoi dispositivi mobili ma in realtà è anche una delle aziende leader nel settore delle infrastrutture per il 5G.
Non abbiamo avuto accesso agli uffici. Non sappiamo, esattamente, cosa celano i palazzi del campus ricchi di dettagli architettonici e piante rampicanti. I video ufficiali girati da Huawei all’interno degli edifici mostrano un ambiente di lavoro moderno e ordinario.
Nel campus di Dongguan, Huawei ospita i dipendenti che si occupano di ricerca e sviluppo, un settore in cui l’azienda ha investito 21 miliardi di euro nel 2023, vale a dire quasi un quarto delle entrate dello scorso anno.
In strada, tra le statue e sui ponti che attraversano numerosi canali e fiumiciattoli, ci sono poche persone.
La temperatura è effettivamente proibitiva, il caldo è asfissiante, l’umidità è insopportabile e coprire a piedi anche pochi metri ci è sembrata un’impresa ardua. In più – ci dicono – molti dipendenti sono ancora in vacanza, è prossimo il rientro.
Quando risaliamo sul treno, il panorama cambia dopo pochi istanti.
Ecco apparire le facciate tipiche degli edifici di Tallin e Budapest.
Poi dal treno si scende, perché per raggiungere l’ultima tappa della nostra visita serve addirittura un bus che ci porti ad almeno cinque o sei chilometri di distanza, in una zona costruita più recentemente che si ispira alla Cité internationale universitaire de Paris.
L’edificio che replica l’aspetto della Maison Internationale, progettata nel 1936 dall’architetto americano Jens Fredrick Larson e all’epoca costruita quasi interamente grazie alle donazioni di John D. Rockefeller Junior, è impressionante per ricchezza sia all’esterno, sia all’interno.
Avvicinandosi al grande palazzo si intravedono, dalle ampie vetrate ai piani superiori, enormi lampadari in cristallo, in stile Luigi XV, che pendono dal soffitto.
Tutt’intorno si respira la Francia.
Poco distante alcune persone camminano spedite su un ponte che somiglia vagamente al Pont Neuf di Parigi, il più antico della città.
All’orizzonte si stagliano i grattacieli di Dongguan e della sua periferia, l’effetto ottico è spiazzante: ci ricordiamo di essere in Cina.
Nel palazzo che richiama la zona residenziale per gli universitari di Parigi, c’è l’attrazione – se così si può chiamare – più straordinaria, a nostro avviso, del campus: una biblioteca ovale con più di 120mila volumi.
Le librerie occupano tre piani dell’edificio.
Sul soffitto grandi vetrate rotonde sono associate ai nomi di diverse città del mondo, da Kyoto a Roma, fino a Gerusalemme.
Appena entrati, sulla destra, il nostro sguardo si poggia su un volume che ha sulla copertina l’effige di Xi Jinping, il presidente della Repubblica Popolare cinese. Poco più in basso, un altro libro con le pagine aperte mostra i mezzi militari dell’esercito rosso.
Ma negli scaffali c’è molto altro, dai testi scientifici alle riproduzioni – in tiratura limitata – di testi ospitati dalla Biblioteca Apostolica Vaticana.
C’è anche una rappresentanza di volumi italiani, una ventina in tutto, selezionati con un criterio che ignoriamo e che ci è apparso discutibile: c’è un saggio sul welfare, per esempio, e un altro sul reddito di base. Spicca un volume di Giulio Tremonti: “Bugie e verità”.
Ai lati della sala ci sono tavoli da lettura con eleganti lampade verdi, ma vuoti. Non c’è nessuno intento a leggere. Forse la grande sala è stata sgomberata in vista della nostra visita, forse l’ora in cui siamo passati – tardo pomeriggio – non è dei migliori dal punto di vista dell’affluenza.
La biblioteca viene aperta alle famiglie, ma solo nel fine settimana. Il campus, in generale, non è aperto a visitatori “comuni” e Huawei si guarda bene dal farlo diventare un’attrazione per turisti.
Quando lasciamo la biblioteca è ormai sera, dall’altra parte del canale d’acqua che circonda la collina ci sono numerosi edifici le cui finestre sono in gran parte spente, senza vita.
Lasciamo il campus che è ormai sera, sperando che la grande bellezza europea venga vissuta come merita.
Fonte : Repubblica