Le popolazioni più emarginate del Paese continuano a lottare per il riconoscimento. Nonostante l’appello dell’ONU nel 1996 e la Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni del 2007, i governi hanno fallito nel fornire un quadro giuridico e politico che tuteli questa comunità. L’istituzione del Parco Nazionale di Maduru Oya ha devastato il loro habitat, costringendoli a rinunciare a tradizioni millenarie e a una vita autosufficiente mantenuta per generazioni.
Colombo (AsiaNews) – Nonostante la sollecitazione dell’Onu allo Sri Lanka del 1996, le popolazioni indigene dello Sri Lanka, indicate con il termine hindi adivasi, hanno vissuto emarginate, senza diritti né riconoscimenti costituzionali o legislativi. Subendo inganni da ogni governo. Secondo Uruwarige Wannila Aththo, capo della comunità, nell’ambito del Mahaweli Development Scheme (il più grande programma di sviluppo agricolo basato sull’irrigazione in Sri Lanka) è stata causata un’immensa distruzione del loro habitat. Nel 1996, le Nazioni Unite hanno chiesto allo Sri Lanka di rispettare i diritti degli abitanti indigeni a seguito di un discorso del capo al gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sui popoli indigeni a Ginevra; in questo ha chiesto che alla comunità fosse permesso di “tornare alla nostra terra tradizionale, in particolare al Parco Nazionale di Maduru Oya”. Egli ha anche argomentato sullo status giuridico della Costituzione dello Sri Lanka che garantisce i diritti delle popolazioni indigene.
Il trasferimento di questa comunità lontano dalle loro terre d’origine e il divieto di accesso alle loro foreste, dove vivevano in armonia con la natura, mantenendo usi, costumi, tradizioni, rituali e pratiche secolari, li ha portati ad affrontare gravi sfide. Non sono in grado di tornare al loro stile di vita autosufficiente mantenuto per generazioni. A causa dello spostamento, hanno dovuto abbandonare le loro conoscenze mediche e i trattamenti attuati attraverso una combinazione di sostanze vegetali e animali, i trattamenti rituali e la stregoneria tramandata oralmente da generazioni. Tuttavia, la domanda se gli adivasi abbiano il diritto di avere una cornice socio-economico e politico favorevole per godere di questi diritti fondamentali rimane valida, dal momento che devono affrontare più sfide e sono più vulnerabili di altre comunità nell’affermarsi come cittadini con pari diritti.
Le Nazioni Unite hanno riconosciuto a livello internazionale i diritti delle popolazioni indigene in tutto il mondo attraverso la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni (UNDRIP), adottata a New York il 13 settembre 2007, con un forte invito agli Stati membri a fornire meccanismi efficaci per la prevenzione e la riparazione di azioni che hanno lo scopo o l’effetto di privarli della loro identità etnica, di espropriarli delle loro terre e delle loro risorse e di discriminarli per motivi razziali o etnici. Secondo i diritti fondamentali sanciti dal Capitolo III della Costituzione del Paese, è necessario avere “diritto all’uguaglianza, alla libertà di occupazione e di movimento”.
Gli ambientalisti Rajitha Wijesinghe e Dushni Malalasekara, che da decenni lavorano con la comunità adivasi per salvaguardare i diritti delle comunità indigene, hanno informato AsiaNews che “nel novembre 1983 il governo ha trasformato il territorio forestale da loro utilizzato in Parco nazionale di Maduru Oya, impedendo loro di cacciare e anche di raccogliere il miele d’api, e li ha spinti verso il ‘Sistema C’ di Mahaweli”. L’ONU ha quindi esortato il governo a “cessare tutti gli atti di repressione”. “La risoluzione fu inviata all’allora presidente Chandrika Bandaranaike Kumaratunga. Per 17 anni dall’adozione dell’UNDRIP nel 2007, lo Sri Lanka non è stato in grado di adottare un quadro giuridico o politico nazionale che mettesse in atto le leggi. Neanche le disposizioni della Convenzione sui popoli indigeni e tribali del 1989 (n. 169) sono state adottate nel quadro giuridico o politico dello Sri Lanka”, hanno sottolineato.
Il capo adivasi racconta: “Ho partecipato alla conferenza sui diritti umani tenutasi a Ginevra nel 1996 e ho presentato i nostri problemi. Alla conferenza, 136 Paesi hanno firmato a favore della ricerca di soluzioni per i nostri problemi. Poiché è stato firmato un accordo, ho pensato che le cose sarebbero andate bene. L’accordo è stato firmato tra me e l’autorità per la conservazione della fauna selvatica, che ci ha permesso di pescare e cacciare con metodi tradizionali in determinati bacini, ma non ha menzionato i ‘bacini specificati’. Maahitiya, Ulhitiya, Kadupahara e Kandeganwila sono i bacini disponibili, ma non siamo stati informati su quali di essi fossero accessibili perché l’accordo non lo specificava. Siamo stati ingannati e ci è stato impedito di accedere a questi luoghi”.
Fonte : Asia