Lo sciopero generale indetto dal potente sindacato Histardrut sta bloccando gran parte di Israele. Una protesta contro l’esecutivo e il premier lanciata dopo il ritrovamento, nel fine settimana, dei corpi di altri sei ostaggi a Gaza. La denuncia del rabbino pacifista: la guerra è parte della “ideologia” dell’estrema destra ed elemento di “sopravvivenza” per il capo del governo.
Gerusalemme (AsiaNews) – Una parte degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas a Gaza “è ancora viva”, per questo si deve fare di tutto “per salvarli: serve un accordo, ma il tempo stringe. Il governo dovrebbe insistere in questa direzione, dare la speranza, ma il primo ministro [benjamin Netanyahu] è più interessato agli accordi di coalizione, al sostegno dei partiti di estrema destra che finirebbero per abbandonarlo se fa concessioni”. È quanto sottolinea ad AsiaNews Jeremy Milgrom, rabbino israeliano e membro dell’ong Rabbis for Human Rights, commentando gli ultimi sviluppi del conflitto nella Striscia, l’uccisione di sei ostaggi di cui si è avuta notizia nel fine settimana e le proteste di piazza a Tel Aviv e in altri centri in corso contro l’esecutivo in queste ore. Prevale la logica del “combatterli sino alla fine – aggiunge l’attivista israeliano – anche sulla pelle degli ostaggi stessi: per l’estrema destra è parte della propria ideologia, per Netanyahu è sopravvivenza”.
Il 31 agosto scorso le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno detto di aver trovato i corpi di sei ostaggi in un tunnel sotterraneo nella zona di Rafah, nel sud di Gaza, identificati con i nomi di: Carmel Gat, Eden Yerushalmi, Hersh Goldberg-Polin, Alexander Lobanov, Almog Sarusi e Master Sgt Ori Danino. Secondo i militari sarebbero stati uccisi poco prima dell’arrivo delle truppe; diversa la versione di Hamas, secondo cui sono stati uccisi in un attacco israeliano. La notizia ha sollevato durissime proteste, con la folla che accusa personalmente governo e premier di aver abbandonato dei concittadini alla morte senza fare nulla per salvarli.
In risposta, diverse strade e vie di collegamento in tutto il Paese risultano bloccate a causa dello sciopero generale indetto da diverse associazioni e parte della popolazione, nel tentativo di sensibilizzare l’esecutivo di ultra-destra sino a spingerlo a un accordo con Hamas. L’obiettivo è sempre la liberazione degli ostaggi nelle mani del movimento estremista che controlla la Striscia ormai dal 7 ottobre, giorno dell’attacco terrorista allo Stato ebraico che ha innescato la guerra nella Striscia, con oltre 40mila morti in larga maggioranza civili, anche donne e bambini.
I dimostranti hanno interrotto strade e attività commerciali, banche e scuole; lo stesso aeroporto internazionale Ben Gurion registra ritardi e cancellazioni diffuse. A indire la protesta di massa, fra le più imponenti dell’ultimo anno, il potente gruppo sindacale Histardrut, fra quelli con maggiore seguito nel Paese, mentre il governo sta studiando azioni legali da intraprendere contro i cittadini in piazza per interruzione di pubblico servizio. Al contempo, per Netanyahu e i ministri dell’ultra-destra le proteste non riguardano il rilascio dei prigionieri ma hanno una connotazione politica anche se il malcontento si va ormai diffondendo in ampi strati della popolazione, nella convinzione che poco sia fatto per la liberazione.
“Sembra chiaro – sottolinea Jeremy Milgrom – che la decisione del governo di non negoziare, ma di continuare a usare l’esercito per cercare di sconfiggere Hamas è costata la vita. La domanda è se possiamo credere all’esecutivo e gli ostaggi siano stati davvero uccisi da Hamas, o dai soldati che si stavano avvicinando nel tentativo di liberarli, vittime del fuoco amico. Già in passato – osserva – è capitato che militari abbiano ucciso, seppur non intenzionalmente, degli ostaggi per un uso eccessivo della forza”. Tuttavia, “è chiaro a prescindere da chi ha aperto il fuoco, se vi fossero stati negoziati, se si fosse puntato a un accordo, uno scambio, sarebbero vivi e tornati con le loro famiglie. Questo – attacca – è un fallimento del governo nel compito di salvare le loro vite, e la popolazione è arrabbiata per questo”.
Allargando l’analisi ai rapporti fra le parti è evidente il desiderio di “libertà” dei palestinesi, ciò che “il popolo israeliano fatica a riconoscere. Manca il rispetto per l’altra parte, vi è la sensazione” che la nascita di una realtà palestinese finirebbe per rendere “meno liberi, meno sicuri gli israeliani”. Da qui una escalation del conflitto che ormai non riguarda più solo Gaza, ma interessa “tutta la Cisgiordania” sottolinea rabbi Milgrom, ed è questo “un elemento sul quale porre estrema attenzione: l’idea di un governo estrema destra, soprattutto di una parte come [il ministro delle Finanze Bezalel] Smotrich che l’intera West Bank sia parte di Israele e i palestinesi debbano essere cacciati, facendo spazio ai coloni… questa è una visione terribile”.
“Netanyahu è stato furbo nel pensare che la gente avrebbe sostenuto la guerra” e ha spronato l’esercito a combattere. “Sfortunatamente – prosegue l’attivista – buona parte dell’opinione pubblica continua a credere che debba vincere e che non possa scendere a compromessi. Il premier ha fatto il giusto calcolo che la gente avrebbe sostenuto l’uso forza e non si sarebbe opposta al controllo dei palestinesi in Cisgiordania e gaza” al prezzo di un numero sempre maggiore “di perdite in termini di vite umane”. Un attore che potrebbe cambiare la situazione, uno dei pochi, potrebbe essere il presidente Usa Joe Biden, ma “l’approssimarsi delle elezioni rende difficile una presa di posizione netta ed eventuali passi saranno presi dopo il voto”. Resta il fatto, conclude Milgrom, che è importante sottolinea come “molti israeliani si sentano imbarazzati, se non inorriditi, dalle decisioni prese dal governo”.
Fonte : Asia