Tra i baškiri, una delle parti meno aggressive e più autonome dell’universo tataro-mongolo, cresce il disagio per la cancellazione da parte di Mosca di ogni forma di autonomia e il reclutamento dei propri giovani per andare a morire al fronte. L’ex-presidente della Camera dei comuni, Rostislav Murzagulov, oggi in esilio: “ERavamo uomini liberi. Non capisco come abbiamo fatto a diventare degli schiavi, o addirittura degli assassini”.
Mosca (AsiaNews) – Cresce nel Baškortostan, repubblica tatara russa sugli Urali, il disagio per le condizioni imposte dal regime putiniano di Mosca, per cui non c’è più il “presidente” ma solo il “capo”, la lingua locale diventa facoltativa a fronte dell’obbligo del russo. Le discussioni sulle forme di autonomia sono severamente proibite e al posto del sostegno alla gioventù locale, ci sono le mobilitazioni sempre più stringenti, che fanno morire in guerra buona parte delle generazioni future di questa e altre regioni periferiche della Russia.
In agosto si sono compiuti 30 anni dalla firma dell’accordo sulle forme di autonomia della regione dei baškiri rispetto agli organi centrali del potere. Il testo doveva essere automaticamente confermato dopo 10 anni, ma nel 2004 si era ormai installata al Cremlino la “verticale del potere” di Vladimir Putin, e nessuna conferma è arrivata non solo per la repubblica di Ufa, ma neppure per l’altra repubblica dei tatari di Kazan. Su Idel.Realii ne hanno discusso il politologo Ruslan Gabbas, che da tempo vive all’estero, e l’ex-presidente della camera dei comuni del Baškortostan, Rostislav Murzagulov, anch’egli in esilio.
Essi ricordano i discorsi degli anni Novanta e dei primi anni di Putin, quando “volevamo far parte dell’Europa ed essere amici di tutti, riconoscendo le frontiere di tutti gli Stati vicini… Tutto questo era una banale menzogna, una operazione speciale per non guardare in faccia la realtà”. La retorica occidentalista del presidente era “una finzione dovuta alla forza ancora preponderante delle élite degli oligarchi che faticava a controllare, poi sono venute fuori le ambizioni imperiali e la formazione del Kgb, che oggi sono evidenti a tutti”.
I due politici in esilio si stupiscono che la maggior parte dei loro amici e sodali sia rimasta nel Baškortostan: “o stanno zitti o ripetono gli slogan a pappagallo”, oppure hanno perso del tutto l’orientamento, “fino ad andare a uccidere le persone o a farsi uccidere”. Gabbas ricorda come nel 2006-2007 avesse fatto un giro di incontri in Europa e in America, poi all’improvviso “tutto è cambiato, e questo non dipende dalla volontà di una sola persona, intorno a Putin c’è un’intera banda che gli suggerisce idee vergognose”. Per questo Murzagulov ritiene che “non basta dichiarare l’indipendenza dall’alto, bisogna coinvolgere tutti i cittadini”.
Entrambi ritengono che in futuro “se una regione intende davvero staccarsi dalla Russia, questa volontà deve essere rispettata”, ma la soluzione migliore sarebbe andare “verso un reale federalismo per tutta la Russia: prima o poi questo si realizzerà”. Rostislav ricorda gli esempi passati della repubblica democratica di Novgorod, ma anche dello stesso Baškortostan, che prima di essere soffocato dalle pressioni zariste era erede di uno dei khanati più liberali del mondo tataro, “le persone si radunavano in piazza e valutavano insieme i problemi, eravamo uomini liberi… Non capisco come abbiamo fatto a diventare degli schiavi, o addirittura degli assassini”.
Gabbasov ricorda che ancora prima di Putin, dopo la fine dell’Urss, era cresciuto un forte nazionalismo russo sciovinista, che rendeva popolari film come Brat 1 e 2, con forti elementi di disprezzo verso i popoli non russi, perfino degli stessi ucraini, “sono sentimenti radicati nell’anima dei russi”. L’ostilità verso i popoli asiatici esisteva già ai tempi sovietici, quando venivano chiamati Čurki (termine spregiativo per i caucasici) o Uzkoglazye (“Occhi ristretti”), e rimangono molti dubbi sulla possibilità di costruire un vero federalismo.
Secondo gli accordi del 1994, il Baškortostan, come il Tatarstan, decideva autonomamente quale percentuale del proprio bilancio poteva essere destinato al centro federale, c’era una cittadinanza propria almeno sulla carta, e anche una propria politica estera. I baškiri, una delle parti meno aggressive e più autonome dell’universo tataro-mongolo, sognano di tornare un giorno ad essere un popolo libero, che riesce a vivere in pace con tutti.
Fonte : Asia