La violenza fisica e psicologica di un partner maschio può alterare l’equilibrio ormonale di una donna, causando danni irreparabili alla sua salute? Se gli studi per ora effettuati su modelli animali fossero confermati, la risposta sarebbe “sì”. Questa sconcertante realtà è stata dimostrata grazie a un innovativo progetto di ricerca medica, iniziato a Baltimora e ora condotto dall’Università di Padova sotto la guida del dottor Jacopo Agrimi. I risultati, inediti a livello mondiale, segnano un importante progresso nella comprensione degli effetti della violenza domestica sulla salute delle donne. La notizia è stata recentemente pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica iScience.
La violenza da parte del partner (Intimate partner violence – IPV) colpisce tutti i generi in vari modi, ma le donne con più frequenza e con conseguenze più gravi. Secondo i dati Istat, 7 milioni di donne in Italia hanno subito violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita, e tra queste 652 mila sono state vittime di stupro. Nel 73% dei casi, la violenza è stata perpetrata dal partner. Estendendo lo sguardo all’Europa, nel 2022 l’agenzia dell’UE per i diritti fondamentali ha rilevato che il 51,7% delle donne tra i 18 e i 74 anni ha subìto almeno una volta nella vita violenza da parte del compagno.
“Molti studi epidemiologici suggeriscono che le donne vittime di violenza possono sviluppare diverse patologie che, a prima vista, sembrano scollegate dagli abusi subiti. In realtà, dal punto di vista medico, secondo la nostra opinione, sono profondamente interconnesse. Tuttavia, a causa della carenza di ricerche che provino in maniera scientifica questa relazione, pochi ne sono consapevoli. Se una donna subisce per 10 anni un profondo stress causato dalle violenze del partner e dopo 10 anni le viene diagnosticata una patologia coronarica o ha un infarto del miocardio, a oggi nessuno collegherebbe i due fatti…”.
Di Massa Carrara, 36 anni, Agrimi studia da tempo gli effetti dello stress psicologico e sociale sull’asse cuore-cervello. Padre medico, mamma ex femminista militante. La sua storia professionale inizia a Pisa, dove si iscrive a medicina, ma presto abbandona questi studi per seguire la sua vera passione: le neuroscienze. Un primo mentore all’università, il professore Angelo Gemignani, lo fa innamorare di questo campo.
“Le neuroscienze sono un territorio di frontiera, sconosciuto e insidioso, ma pieno di oro. Sono discipline straordinarie in cui si possono creare interpretazioni che vanno ben oltre la medicina e che ci parlano di filosofia, di identità, di chi siamo come esseri umani. In termini tecnici, queste discipline esplorano la relazione tra il sistema nervoso centrale, il nostro comportamento e il resto dell’organismo”.
Laurea in psicologia clinica a Pisa, dottorato in medicina alla Scuola Superiore Sant’Anna, post dottorato negli Stati Uniti alla Johns Hopkins University di Baltimora, presso il laboratorio del professor Nazareno Paolocci, italiano che da 25 anni vive e lavora negli Stati Uniti. “Ho continuato a fare in Usa quello che già facevo a Pisa: studiavamo la comunicazione tra cuore e cervello, due organi che sono fortemente in equilibrio l’uno con l’altro”.
Negli Usa, Agrimi inizialmente studia l’effetto della combinazione dei due stress ambientali più diffusi nella società occidentale: da un lato lo stress psicosociale (quello che risulta dalle interazioni lavorative, familiari o di classe), dall’altro una dieta insalubre. Dimostra che i danni sono enormi sia al cuore sia al cervello.
“C’è di più. La somma di questi due danni non è additiva, ma sinergica, quindi ha un impatto maggiore della somma delle parti”. Questo lavoro è stato poi pubblicato dal gruppo editoriale Lancet.
Poi arriva la pandemia, il mondo entra in lockdown. Agrimi e il professor Paolocci iniziano a leggere notizie che riportano l’aumento della violenza domestica.
“Un giorno ci siamo chiesti se questo tipo di stress nel contesto maschio-femmina fosse mai stato studiato. Siamo rimasti sbalorditi dalla scoperta che nessuno aveva mai indagato questa relazione nel contesto della ricerca di base. Perché? Viviamo in una società maschilista e patriarcale, anche nelle forme più eccelse, come la ricerca scientifica. Così ci siamo messi a farlo noi, studiando sugli animali gli effetti della violenza psicologica e fisica di un maschio su una femmina. Abbiamo individuato uno dei meccanismi fisiologici che, nei modelli animali, spiega gli enormi danni osservati a livello cerebrale e cardiaco. La violenza perpetrata per lungo tempo altera completamente l’asse degli estrogeni, quel fenomeno che fino alla menopausa protegge la fisiologia femminile da diverse malattie. Questo tipo di violenza distrugge il recettore beta di questi ormoni, che ha una funzione estremamente protettiva su cuore, cervello e sistema immunitario”.
Ma di che tipo di violenza si può parlare? “Non solo di percosse, ma di una gamma di comportamenti aggressivi e coercitivi: violenza fisica, sessuale e psicologica, fino al ricatto economico, attuati da individui contro la partner senza il suo consenso”.
Dopo 4 anni all’estero, Agrimi rientra in Italia grazie al bando Marie Curie della Comunità Europea, nato per far rientrare i cervelli in fuga nell’Unione Europea. Ottiene un grant di 200 mila euro per continuare le sue ricerche in Europa. Cosi torna in Italia, a Padova, al Dipartimento di Scienze biomediche. Oggi ha ricevuto altri fondi dall’Università per iniziare la ricerca sugli esseri umani. Il progetto si chiama Wish – Women Intimate Shelter” e vuole aiutare le donne vittime di violenza.
“Non abbiamo la pretesa di dire che l’interazione che ricreiamo negli animali tra un maschio aggressivo e una femmina sia l’imitazione perfetta di ciò che accade nella nostra specie, ma rappresenta un modello utile da cui partire e che ora ci ha permesso di passare con ipotesi concrete allo studio negli esseri umani. Stiamo avviando una nuova ricerca in collaborazione con il Centro Antiviolenza di Milano (SVSeD), uno dei più grandi d’Italia, per verificare se ciò che abbiamo osservato nei modelli animali sia valido anche per gli esseri umani. Inizieremo esaminando la salute di queste donne che hanno subito violenza attraverso test psicologici e neuropsicologici. Successivamente, analizzeremo sia i marker circolanti ematici sia il loro DNA, con un approccio epigenetico, concentrandoci su vari geni, tra cui il famoso recettore beta degli estrogeni, quello che abbiamo trovato alterato nei topi. Speriamo inoltre di estendere la stessa ricerca ad altri centri antiviolenza, tra cui quello di Padova”.
Qualora gli studi clinici confermassero che questo accade anche nelle donne, cosa cambierebbe?
“Sarebbe incredibile per due ragioni. Da un lato, ci aiuterebbe moltissimo nella diagnosi e nella comprensione dei possibili danni, poiché questo recettore è presente nel cuore, nel cervello e nel sistema immunitario. Con la professoressa Gaya Spolverato dell’Università di Padova, straordinaria chirurga oncologa, abbiamo avviato una linea di ricerca sull’incremento del rischio di cancro indotto dalla violenza. Dall’altro, c’è anche un altro fattore importante: si potrebbero sviluppare farmaci che agiscono direttamente sul recettore beta”.
Quanto tempo ci vorrà? “È brutale dirlo, ma dipende tutto dai soldi. Con capitali a disposizione potremmo fare le cose in pochi anni”.
Mosso da una profonda motivazione e consapevolezza “Ho sempre percepito, consapevole della mia posizione di privilegio, il problema della disuguaglianza di genere e della presenza a tutti i livelli del patriarcato nella nostra società”, Agrimi è convinto che la ricerca in medicina serva anche a mettere a nudo ed esprimere in maniera forte un messaggio.
“I dati sono allarmanti. La violenza maschile sulle donne è un’epidemia silenziosa che uccide migliaia, se non milioni di donne in tutto il mondo. Come 40 anni fa si è provato che le sigarette uccidono milioni di persone, oggi abbiamo gli strumenti per dimostrare, con dati scientifici, che lo stress e la violenza domestica sono un killer silenzioso. E lo proveremo”.
Nell’attesa e nella speranza di risolvere il problema a monte, eliminando ogni forma di violenza, non solo quella fisica.
Fonte : Repubblica