Diversamente dalle storie di giovani che tornano alla campagna ristrutturando vecchi ruderi o campi dismessi, quello di Beatrice Tomassi è un percorso partito da zero. Nessun contadino in famiglia, niente immobili ricevuti in eredità: all’età di 25 anni si è messa a cercare un terreno per impiantare il suo modello di “fattoria del futuro”, adottando un approccio rigenerativo e mettendo insieme discipline che sembrerebbero averci poco a che fare. Il suo progetto si chiama Naga, acronimo di Natura, agricoltura e arte, e sta partendo a Formello, una ventina di chilometri da Roma.
Beatrice Tomassi (sopra, nella foto di Stefano Delia) è nata 29 anni fa a Roma, e ha vissuto in centro storico, “un’area in cui la produzione agricola fatica ad arrivare. Avrei voluto fare la spesa coi prodotti dei contadini, ma nessuno, nemmeno con le consegne, si avventurava entro la ztl”. L’occasione per entrare in contatto con l’origine del cibo ce l’ha viaggiando, “quando avevo 16 anni ci siamo trasferiti in Asia – mio nonno è indiano e lì c’è parte della famiglia – poi mi sono iscritta all’università nel Regno Unito”. Già al liceo internazionale si appassiona di scienze ambientali, poi prosegue specializzandosi in sviluppo sostenibile, “ma piuttosto che la prospettiva dall’alto al basso mi interessava quella contraria. Così ho girato per conto mio per conoscere progetti agricoli in varie zone del mondo”. Lo fa nel Sud-Est asiatico, ma anche in Svezia e a Malta, trovando particolarmente interessante l’esperienza degli ecovillaggi, dove la produzione agricola e la tutela dell’ecosistema si sposa ai risvolti sociali, artistici e anche spirituali del vivere in comunità.
“Era l’ultima mattina di ‘libertà’ prima del lockdown, e io andavo a visitare il campo che poi avrei comprato”, ricorda Tomassi. Nel 2020 era appena rientrata in Italia e aveva deciso di occuparsi di pratica agricola, dopo esperienze operative come quella con la Cooperativa agricola Coraggio. Ci mette poco a individuare 13 ettari a Formello, “nella zona archeologica del Parco di Veio; un posto bellissimo”, dove già esisteva un’azienda con tutti i permessi e in regime biologico. Analizza la salute dei terreni e capisce che è necessario ‘restituire’ loro qualcosa. “C’erano problemi di erosione dell’acqua e di impoverimento, per via dell’agricoltura tradizionale che era stata fatta e delle sue lavorazioni profonde”. Le modalità che adotta si chiamano rigenerative per la capacità non solo di mettere a frutto il suolo, ma anche migliorarne la salute, aumentare la biodiversità, e rinforzare l’ecosistema nel complesso. Decide quindi quali sono le colture da impiantare a rotazione e combinare tra loro. Ecco come è andata a finire.
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Fonte : Today