La regione a maggioranza musulmana storicamente contesa con il Pakistan andrà alle urne per la prima volta dopo il colpo di mano con cui nel 2019 il premier Narendra Modi ne ha cancellato lo statuto speciale. Il Bjp ha ridisegnato le circoscrizioni per ottenere la maggioranza. Ma è una partita aperta con l’alleanza tra il Congress e una forza politica locale che vogliono ripristinare l’autonomia garantita dall’articolo 370 della Costituzione indiana.
Srinagar (AsiaNews/Agenzie) – Di nuovo alle urne dopo dieci anni. E per la prima volta dal colpo di mano con cui nel 2019 il premier indiano Narendra Modi ne ha cancellato lo statuto speciale. Saranno puntati sul Kashmir, la regione a maggioranza musulmana contesa con il Pakistan, gli occhi della politica indiana nelle prossime settimane. Dal 18 settembre e in tre diverse tornate in tutto il Jammu & Kashmir – l’intera regione che comprende anche le province a maggioranza indù del Jammu – circa 8,8 milioni di elettori saranno chiamati alle urne per eleggere la nuova Assemblea locale. I risultati del voto sono attesi per il 4 ottobre, insieme a quelli del più popoloso Stato dell’Haryana, che voterà il 1 ottobre.
La questione del Kashmir è un nodo rimasto irrisolto in Asia Meridionale fin dalla fine del dominio coloniale britannico nel 1947, quando il subcontinente indiano fu diviso tra l’India e il Pakistan. Islamabad ha a lungo spinto per il diritto all’autodeterminazione in base a una risoluzione delle Nazioni Unite approvata nel 1948, che chiedeva un referendum per decidere se i kashmiri volessero fondersi con uno dei due Paesi. Dalla fine degli anni Ottanta milizie locali nella parte sotto la sovranità indiana combattono contro il governo di New Delhi, che accusa il Pakistan di sostenere queste “formazioni terroriste”. Decine di migliaia di civili, ribelli e forze governative sono stati uccisi in questo lungo conflitto.
In questo scenario che dura da decenni nel 2019 Modi ha colto l’occasione di una crisi politica locale creata dalla rottura dell’alleanza di governo tra il suo Bjp e il locale People’s Democratic Party (PDP) per abolire l’articolo 370 della Costituzione indiana che garantiva al Jammu & Kashmir uno statuto speciale.
Cancellando di fatto gli organismi politici locali, i nazionalisti indù ha declassato questo territorio ponendolo sotto il diretto controllo del governo federale. Ne hanno modificato anche i confini, separandolo dal Ladakh, il territorio himalayano al confine con la Cina. Ma soprattutto i kashmiri hanno perso la propria autonomia in materia di diritto penale e le tutele ereditate su terre e lavoro. Per cinque anni il Jammu & Kashmir è stato dunque governato da un amministratore e funzionari governativi non eletti, che hanno varato provvedimenti giustificati con l’esigenza di “affrontare il separatismo, promuovere un maggiore sviluppo economico e integrare pienamente la regione nel Paese”. Suscitando la rabbia della popolazione kashmira, le cui libertà civili sono state limitate e i media intimiditi.
Ora, dunque, con l’uscita dalla fase emergenziale, il Jammu & Kashmir torna alle urne per eleggere la sua Assemblea locale, ma con la prospettiva di un’autonomia comunque minore rispetto al passato. Per di più nel ridisegno delle circoscrizioni elettorali è stato aumentato il numero dei seggi del Jammu (dove la maggioranza della popolazione è indù) e sono stati introdotti nove seggi riservati per le scheduled tribes, i gruppi tribali riconosciuti, anche in questo caso popolazioni non musulmane.
Il voto in arrivo si prospetta, dunque, come un banco di prova sul “nuovo Kashmir” voluto da Modi. Anche perché i nazionalisti indù del Bjp dovranno vedersela con l’alleanza tra il Congress Party e la National Conference – l’altro maggiore partito locale guidato da Omar Abdullah – che hanno messo espressamente nel proprio programma elettorale il ripristino dell’articolo 370 della Costituzione indiana, che garantisce al Kashmir uno statuto speciale.
Nelle elezioni politiche della primavera scorsa, il Bjp si era aggiudicato i due seggi del Jammu, mentre la National Conference aveva conquistato due dei tre seggi del Kashmir, con la vittoria nel terzo di Sheikh Abdul Rashid (noto come “l’ingegner Rashid), il leader dell’Awami Ittehad Party, un partito ancora più autonomista, tanto che Rashid stesso si trova tuttora in carcere con l’accusa di terrorismo da parte di New Delhi. Nel 2014 il Bjp era riuscito ad andare al governo aggiudicandosi tutti i seggi del Jammu e incassando l’appoggio del People’s Democratic Party. Oggi però la leader di questa forza politica Mehbooba Mufi – che è stata a capo del governo locale dal 2016 al 2018 – ha annunciato che non si candiderà contestando gli scarsi poteri assegnati dal governo federale all’Assemblea. Dunque la partita si prospetta come molto aperta.
Un dato cruciale sarà quello dell’affluenza alle urne. Storicamente in questa regione è sempre stata molto bassa, per l’alto tasso di boicottaggio delle istituzioni indiane. Nelle elezioni politiche della primavera scorsa, però, nell’intero Jammu & Kashmir è salita al 58%, la più alta degli ultimi 35 anni. E anche le tre circoscrizioni della Valle del Kashmir, dove di solito dilagava l’astensione, hanno fatto registrato un’affluenza media del 51%, notevolmente superiore alle tornate precedenti.
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Fonte : Asia