Caso Telegram, il problema può ingigantirsi. Le Big Tech minacciano di lasciare l’Europa
Non si spegne il caso Telegram, nonostante la scarcerazione avvenuta ieri a Parigi del fondatore dell’app di messaggistica Pavel Durov. Lo Zuckerberg russo è stato liberato su cauzione, pagati 5 milioni di euro, ma la questione è destinata a ingigantirsi sempre di più. Durov dovrà presentarsi alla polizia due volte a settimana, questo è quello che ha stabilito la procuratrice. “Se l’arresto di Durov è davvero un fatto giuridico e non politico, fossi l’amministratore di una Big Tech – dice Andrea Monti, autorevole avvocato esperto di High Tech a La Stampa – valuterei bene l’eventualità di un viaggio in Europa. Questo caso crea un precedente e mette perfino in discussione la permanenza dei colossi tecnologici in Ue”. Sul caso Telegram in Francia ha pochi dubbi: può cambiare tutto.
“In primo luogo – prosegue Andrea Monti a La Stampa – perché mette un grosso punto interrogativo sulla legittimità delle piattaforme che garantiscono totale privacy e anonimato: “Se non è legittimo l’uso di strumenti di crittografia dei messaggi senza autorizzazione del governo centrale, come possono operare Meta, X, Microsoft, Google e Apple in Francia e in Europa? Hanno chiesto e ottenuto questa autorizzazione? E se sì a che prezzo l’hanno avuta? Dando accesso ai propri dati per ragioni di sicurezza nazionale? Delle due l’una: o l’uso di crittografia per i prodotti Usa è stata autorizzata”, ipotesi difficile, “oppure la procura di Parigi dovrebbe aprire un bel po’ di fascicoli per valutare lo stato di fatto“.
Le conseguenze sono imprevedibili. E potrebbero rendere difficile la vita stessa dei colossi tecnologici nel Vecchio Continente. Per Monti, si tratta di una radicalizzazione etica che porta a polarizzarsi tra favorevoli e contrari a Durov, “mentre il tema è se ha violato o meno la legge”. Pochi dubbi a riguardo: “I magistrati – conclude – hanno applicato norme che consentono di ipotizzare una responsabilità penale di un operatore online. Sarà il processo a stabilire se effettivamente Durov era consapevole di supportare la commissione di reati”.
Fonte : Affari Italiani