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L’attentato di Solingen dello scorso 24 agosto che ha causato tre vittime e otto feriti ha segnato il ritorno del terrorismo dello Stato islamico (Isis) in Europa. Le autorità tedesche hanno arrestato il 26enne siriano Issa al-Hassan che ha confessato di aver perpetrato l’attacco. Nella rivendicazione di Isis si fa riferimento al genocidio di Gaza per motivare il vile attentato. Non solo, poche ore dopo un’esplosione ha colpito la sinagoga di La Grande-Motte nel Sud della Francia. Questa volta è stato arrestato un 33enne algerino che aveva con sé una bandiera palestinese.
Il caso tedesco
Non è un caso che, dopo i gravissimi attacchi a Charlie Hebdo, Bataclan e Nizza (2015-2016), il terrorismo di Isis sia tornato a colpire in Germania. Si tratta del paese dove la guerra a Gaza e il sostegno incondizionato alle violenze di Israele più che in ogni altro luogo sta segnando il dibattito pubblico. Questo avviene per ragioni storiche, legate alle responsabilità della Germania nazista nell’Olocausto durante la Seconda Guerra Mondiale.
E così le autorità tedesche preferiscono non vedere o negare il massacro in corso a Gaza. Questo atteggiamento sta accrescendo discorsi di odio, xenofobi e razzisti verso i palestinesi, gli arabi e i musulmani, o in generale verso chiunque difenda la causa palestinese.
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In altre parole, il conflitto a Gaza ha armato la destra nazionalista in Germania, di partiti come Alternative for Deutschland (Afd), ma non solo, anche del discorso moderato e di una buona parte della sinistra a favore di un incondizionato sostegno verso Israele. Questo è molto pericoloso in un paese dove le comunità turche, siriane e di altri paesi del Nord Africa e del Medio Oriente si mobilitano invece costantemente contro la guerra in corso e chiedono un cessate il fuoco immediato.
Il cessate il fuoco non arriva alimentando il terrorismo di Isis
Proprio le difficoltà nell’ottenere un accordo per il cessate il fuoco a Gaza, per tanti fattori, a partire dalla debolezza degli Stati Uniti che attraversano una lunga fase di campagna elettorale in cui il presidente uscente, Joe Biden, non sembra intenzionato ad imporre la fine del conflitto. E così l’esercito israeliano ha piena libertà di azione mentre a Washington si attende l’esito dello scontro elettorale tra Kamala Harris e Donald Trump che segnerà il futuro nella politica estera degli Stati Uniti in Medio Oriente.
Ma non solo. Anche gli altri attori regionali non sembrano davvero interessati a chiudere questa pagina sanguinosa della storia del conflitto israelo-palestinese, innescata dagli attacchi del 7 ottobre 2023 che hanno causato 1200 vittime israeliane, oltre 200 ostaggi israeliani, alcuni ancora nelle mani di Hamas, e oltre 40mila morti palestinesi. L’Iran vive la tensione tra la necessità di dover dare una risposta all’assassinio del leader di Hamas Ismail Haniyeh, a Teheran, lo scorso 31 luglio, e il timore che una risposta occidentale possa minare alle basi le istituzioni della Repubblica islamica. D’altra parte, l’Egitto vive con molta apprensione il sostegno incondizionato delle autorità locali per la guerra di Israele e le conseguenze politiche e geopolitiche che l’arrivo di migliaia di profughi palestinesi nel Sinai potrebbero determinare.
Questa volta, quindi, non è stata la guerra in Siria ma un più generale sentimento anti-occidentale, che dovrebbe includere le responsabilità dei leader politici regionali, per le ingiustizie in corso a Gaza ad aver armato il terrorista, probabilmente un “lupo solitario”, che ha colpito a Solingen, in un paese dove non è possibile manifestare liberamente il proprio sostegno per la Palestina o avanzare critiche per le politiche sioniste che alimentano uno stato di guerra permanente regionale senza essere accusati deliberatamente di antisemitismo. In altre parole, in molti paesi europei ormai chi sostiene la causa palestinese è automaticamente collegato ad Hamas e quindi a un potenziale sostegno al terrorismo.
Il “doppio standard” europeo nel conflitto a Gaza
“Israele ha lavorato negli ultimi decenni per collegare tutto alla vittimizzazione dell’Olocausto e affermare la definizione di anti-semitismo per cui chiunque critica Israele è automaticamente anti-semita”, ha spiegato a Fanpage.it l’attivista palestinese, Mira Kurrayem. “Questo si nota in modo particolarmente chiaro in Germania dove leggi ad hoc vengono approvate per accomodare questo senso di colpevolezza che gli europei hanno verso gli ebrei. Eppure se l’Europa ha un problema con l’anti-semitismo, per i crimini che ha commesso, non dovrebbero essere i palestinesi a pagarne il prezzo. Questo non è giusto”, ha concluso l’attivista.
E così la Germania, per ripulirsi delle sue colpe storiche, è diventato uno dei paesi europei dove è più diffuso il “doppio standard” nel racconto del conflitto in corso a Gaza nonché uno dei principali fornitori di armi a Israele nel 2023, con 326 milioni di euro in mezzi militari arrivati da Berlino a Tel Aviv.
Per questo gli avvocati del Nicaragua hanno sollevato la questione davanti alla Corte di giustizia internazionale (Icj) e hanno chiesto alla Germania di fermare la fornitura di armi a Israele e di riprendere a finanziare l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA), sostenendo che Berlino ha violato la Convenzione sul genocidio del 1948 fornendo armi a Israele, nonostante fosse consapevole del massacro in atto, confermato anche dalla stessa Icj.
Solo la fine del conflitto a Gaza con una tregua permanente può disinnescare il rischio che il terrorismo internazionale di Isis torni a spargere sangue in Europa. E questo è ancora più urgente per un paese come la Germania dove la guerra a Gaza è stata armata per alimentare discorsi xenofobi e razzisti che associano con il terrorismo, in maniera inaccettabile, chi chiede giustizia per il popolo palestinese rendendo intollerabile per molti il sostegno incondizionato di Berlino al progetto di guerra permanente sostenuto dalle autorità israeliane nei territori palestinesi. E così, se la fine del conflitto tra Israele e Hamas non dovesse arrivare a stretto giro, come ha dimostrato l’attentato di Solingen, potrebbe essere dietro l’angolo anche un ritorno in grande stile del terrorismo di Isis in Europa.
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Giuseppe Acconcia è giornalista professionista e docente. Insegna Stato e Società in Nord Africa e Medio Oriente all’Università di Milano e Geopolitica del Medio Oriente all’Università di Padova. Dottore di ricerca in Scienze politiche all’Università di Londra (Goldsmiths), è autore tra gli altri de “Taccuino arabo” (Bordeaux, 2022), “Le primavere arabe” (Routledge, 2022), Migrazioni nel Mediterraneo (FrancoAngeli, 2019), Il grande Iran (Padova University Press, 2018).
Fonte : Fanpage