Albania, l’Italia riconosce un massimo di 500 euro per le spese di chi assiste i migranti

L’accordo per i nuovi centri per migranti in Albania siglato tra il governo italiano e quello albanese lo scorso novembre 2023, non è ancora entrato nella sua piena fase operativa, ma ha già scatenato diverse polemiche. L’ultima in ordine di tempo riguarda i rimborsi spese di viaggio e soggiorno, garantiti dallo Stato, per avvocati e interpreti che assistono i migranti in Albania quando non è possibile la partecipazione telematica o il rinvio dell’udienza risulta incompatibile con i termini del procedimento. Il decreto del ministero della Giustizia, di concerto con quello dell’Economia e delle Finanze, fissa in 500 euro il limite massimo per coprire le spese documentate di trasporto, alloggio e vitto. Cifre, secondo diversi esperti del settore legale, che non saranno sufficienti a coprire tutti costi dei professionisti in trasferta.

Le critiche al rimborso

Francesco Petrelli, presidente dell’Unione camere penali italiane, dalle colonne del Sole 24 Ore ha espresso forti perplessità nei confronti della disposizione: “Poiché si tratta di tutelare l’effettività del diritto di difesa del migrante, in relazione ai diritti fondamentali della persona, il tetto previsto dal decreto appare troppo modesto“. Petrelli sottolinea come i 500 euro debbano coprire gli spostamenti sia in territorio nazionale che estero, una cifra che ritiene “tanto contenuta da poter risultare compressiva del diritto stesso all’effettività della difesa“. Inoltre, va ricordato che le spese per i viaggi di avvocati e interpreti vanno ad aggiungersi ai 252 milioni di euro già stanziati per le trasferte di funzionari ministeriali e altro personale coinvolto.

A far eco alle preoccupazioni di Petrelli è Accursio Gallo, segretario dell’Organismo congressuale forense. Gallo si schiera apertamente contro l’esternalizzazione dei processi, sostenendo che il tetto massimo di spesa previsto per i rimborsi agli avvocati “vanifica il diritto di difesa“. La sua posizione è netta: i processi devono svolgersi in Italia, una soluzione che secondo Gallo comporterebbe meno spese e minori rischi di violazione dei diritti fondamentali.

L’accordo con l’Albania

Il patto, frutto dell’intesa tra la premier Giorgia Meloni e il primo ministro albanese Edi Rama, prevede il trasferimento in territorio albanese di migliaia di migranti soccorsi in mare dalle autorità italiane. Secondo i termini dell’accordo, l’Italia potrà inviare fino a 3.000 migranti al mese in Albania, per un totale massimo di 36.000 all’anno. Questi saranno accolti in due strutture principali: un centro nel porto di Shengjin, dedicato alle procedure di sbarco e identificazione, e un altro nell’entroterra a Gjader, destinato all’accoglienza e al trattamento delle domande d’asilo. Il costo totale dell’intera operazione potrebbe raggiungere i 635 milioni di euro in cinque anni e vedrebbe essere degli ostacoli nei possibili ricorsi giudiciari. Inoltre, un rapporto di Openpolis ha messo in evidenza che, di questa cifra, quasi 252 milioni saranno destinati alle trasferte dei funzionari italiani, costi che non sarebbero stati necessari se i centri fossero stati costruiti in Italia.

Un aspetto cruciale dell’intesa riguarda l’aspetto giurisdizionale dei centri: nonostante la loro ubicazione in territorio albanese, infatti, queste strutture opereranno sotto il controllo italiano. Ciò significa che tutto il processo, dall’identificazione all’esame delle richieste d’asilo, sarà gestito secondo la legge italiana e da personale italiano, inclusi funzionari, forze dell’ordine, operatori sanitari, avvocati, giudici e traduttori.

Per quanto riguarda i procedimenti legali, gli avvocati italiani potranno recarsi nei centri per migranti in Albania per assistere i migranti a spese dello Stato, con udienze che si svolgeranno preferibilmente in videoconferenza. L’obiettivo dichiarato è di completare le procedure entro 28 giorni, come previsto dalla normativa italiana. Chi non avrà diritto all’asilo sarà rimpatriato direttamente dall’Albania verso il paese d’origine, sempre sotto la responsabilità italiana. L’accordo prevede alcune eccezioni: minori, donne incinte e soggetti particolarmente vulnerabili non saranno inviati in Albania, ma gestiti direttamente in Italia. L’intesa, che ha una durata iniziale di 5 anni rinnovabile, e vedrà l’Italia farsi carico dei costi di gestione delle strutture e del personale.

Fonte : Wired